La Croce e la Sinagoga. Ebrei e Cristiani a confronto

Il giornalista Giovan Battista Brunori indaga la storia delle relazioni tra cristiani ed ebrei. Nel suo libro "La Croce e la Sinagoga" (Franco Angeli Edizioni, 2005), esponenti di primo piano del mondo ebraico e di quello cattolico - da Javier Echevarria a Elio Toaff, da Amos Luzzatto a Chiara Lubich -, accettano di raccontarsi rispondendo alle domande dell’autore. Riportiamo di seguito l'intervista al Prelato dell'Opus Dei.

Per la prima volta dopo secoli di storia la Chiesa cattolica si ritrova ad essere minoranza, e quindi, come altre minoranze, ha davanti agli occhi lo spettro dell'assimilazione. Pensa che anche i cattolici corrano i rischi di altre minoranze, come l'integralismo, la chiusura?

Sia l'integralismo che la chiusura, anche se possono essere una tentazione per gli uomini, sono contrari all'essenza stessa della Chiesa cattolica, alla quale spetta una missione universale.

Non penso che la Chiesa cattolica si ritrovi oggi propriamente "ad essere minoranza". Piuttosto essa ha di fronte a sé una doppia sfida: da un lato, una crisi di fede tra parecchi cattolici, che li porta facilmente a cedere alle pressioni di un ambiente materialista ed edonistico; dall'altro, la secolarizzazione della società, che ha privato la Chiesa dei sostegni istituzionali di tipo temporale che essa, soprattutto in paesi di tradizione cattolica, possedeva nei secoli passati, con tutta giustizia, per il servizio che prestava — e che continua a prestare — alla società. Mentre il primo fenomeno — la crisi di fede in molti — presenta un vero ostacolo per la missione della Chiesa, il secondo è il frutto di un processo che ha dei risvolti negativi ma anche positivi. Lo stato laico — se non cede a un laicismo ottocentesco — è uno sprone che può aiutare i cattolici a ritrovare nella società pluralistica il loro "carisma evangelico" di essere fermento in seno alla società, configurandola allo spirito di Cristo dall'interno, e non attraverso aiuti istituzionali venuti da fuori. In questo senso ci troviamo sempre di più nella posizione dei primi cristiani. Questa prospettiva richiede una nuova evangelizzazione, che sarà proprio il contrario di integralismo e chiusura: sarà inculturazione del messaggio cristiano nel mondo moderno e allo stesso tempo, in uno spirito di libertà e di responsabilità personale, apertura di questo mondo all'azione salvifica della Chiesa.

Ha mai intrattenuto rapporti di amicizia con ebrei?

La mia risposta può sembrare forse ingenua, ma negli ambienti in cui sono cresciuto e vissuto — famiglia, scuola, amicizie, Roma — ho trovato il grande orizzonte cristiano di amare tutti.

Ricordo ancora i libri di Storia sacra che già nella scuola elementare venivano utilizzati. Essi parlavano del popolo eletto, e facevano crescere in me l'ammirazione verso le grandi figure dell'Antico e del Nuovo Testamento. Non ricordo di aver frequentato ebrei nell'infanzia o nella giovinezza, ma guardavo al popolo d'Israele con affetto. Nell'Opus Dei, successivamente, ho imparato più in profondità che lo spirito cattolico impone di ampliare in modo illimitato l'orizzonte dell'amicizia con tutti gli uomini, e così mi sono sentito — e mi sento tuttora — molto felice di frequentare persone di vari popoli e comunità.

E san Josemaría? E il suo primo successore Mons. Alvaro del Portillo?

So che san Josemaría ha frequentato spesso persone ebree; e che non sono poche quelle che andavano da lui attratte dalla sincerità della sua amicizia e del suo affetto. Lo stesso si può dire del suo primo successore. Ricordo di lui un episodio che mi ha colpito. Mons. del Portillo dovette incontrare più volte un gruppo di ebrei, i quali alla fine gli fecero questo commento: la ringraziamo per la sua delicatezza, di aver avuto per noi tanto affetto; ci siamo trovati molto bene con lei.

Che giudizio dà il prelato dell’Opus Dei della visita di Giovanni Paolo II in Israele?

Molto positivo. Sono certo che il Santo Padre ha ringraziato molto Dio per questo viaggio. A questa semplice considerazione desidero aggiungere che le persone ebree con le quali ho parlato dopo questo soggiorno di Giovanni Paolo II nella loro terra, mi hanno commentato in modo unanime la loro gioia e la loro riconoscenza per quanto il Romano Pontefice ha fatto e ha detto in quell'occasione. Mi sembra che riflettano pure questa realtà i gesti sinceri di gratitudine con i quali le autorità del paese hanno accolto Giovanni Paolo II: attenzioni che gli hanno prodigato in una sorta di crescendo, come mostrano le immagini filmate del viaggio.

Il dialogo ebraico cristiano avrà un ruolo significativo anche in futuro? La Chiesa potrebbe fare a meno del rapporto con gli ebrei?

Da quando la dichiarazione Nostra Aetate del Vaticano II affrontò in un'ampia prospettiva la relazione fra ebraismo e cristianesimo, è nata una nuova epoca di rapporti e dialoghi, molto diversificati per natura e carattere, che sembra essere, nonostante le difficoltà, inarrestabile. La situazione generale esistente nel mondo — la ricerca della pace, la lotta contro ogni forma d'intolleranza, l'affermazione del valore della vita, i diritti dell'uomo, il rispetto dell'ambiente — e soprattutto i legami spirituali e le relazioni storiche che collegano la Chiesa al popolo d'Israele sembrano esigere un tale dialogo, e non pare che ad esso possa sottrarsi nessuna persona di buona volontà.

Ebrei e cristiani hanno un ruolo da giocare nella società di oggi e nella costruzione di quella di domani? In quali campi?

Sono convinto che hanno un ruolo molto importante da giocare, e questo in una triplice dimensione. In primo luogo sono chiamati a dare una comune testimonianza della grande tradizione religiosa e culturale giudeo-cristiana, tanto decisiva per la formazione del mondo occidentale e della civilizzazione da esso generata. Poi, ebrei e cristiani sono predestinati a dare una comune testimonianza di valori umani fondamentali, oggi specialmente messi in discussione, in particolare nella difesa della famiglia e della vita umana. In terzo luogo, sono convinto che cristiani ed ebrei oggi siano chiamati a dare una comune testimonianza di riconciliazione e di perdono, mostrando così che la pace e la fraternità in questo mondo sono sempre possibili.

S.E.R. Mons. Javier Echevarría

Prelato dell’Opus Dei