L'Opus Dei batte il Codice da Vinci

Editoriale del Corriere della Sera del 20 maggio 2006.

Le scuole di giornalismo, gli uffici public relations delle grandi aziende, i portavoce dei partiti e delle istituzioni dovrebbero organizzare seminari sul «Codice da Vinci». Non sul thriller di Dan Brown e neppure sul film di Ron Howard. Sulla reazione dell'Opus Dei al ritratto nefasto dell'organizzazione cattolica. Anziché denunciare, smentire, trascinare autore e regista in tribunale, la «prelatura personale» fondata da san Josemaría Escrivá, ha colto l'occasione per aprirsi al dialogo con i giornalisti, fin qui detestati e messi al bando.

Non trincerandosi dietro la tradizionale segretezza, l'Opus Dei — definita dalla stampa anglosassone «Octopus Dei» la piovra di Dio, per gli interessi riservati — ha chiesto ai suoi esponenti di ricevere e discutere con i cronisti, ha aperto gli archivi al più rispettato vaticanista americano, John Allen per un suo libro, e ha perfino scherzato sul cilicio, la maglia di ferro medievale che alcuni esponenti indossano per penitenza, come il monaco killer Silas nel romanzo di Brown e nel film polpettone deprecato a Cannes.

Funziona. Davanti a un tomo che rivaleggia con la Bibbia nelle librerie del mondo, se Javier Echevarrìa, erede di Escrivà, e i suoi collaboratori si fossero chiusi nel riserbo, nell'ambiguità, magari minacciando editori, giornalisti, esponenti dell'opinione pubblica, avrebbero solo confermato le cupe prospettive tinteggiate da Brown e Howard. Potevano aspettare in silenzio, arroccati nel mega edificio dello stato maggiore Opus Dei a New York che la bufera passasse.

Invece hanno compreso che il best seller di Brown, pur con le sue imprecisioni (il killer Silas è un monaco in saio e l'Opus Dei non ha un ordine monastico al proprio interno), ha però emozionato l'opinione pubblica, facendo leva sul culto per la chiusura che l'Opus Dei ha coltivato dalla fondazione, in Spagna, 2 ottobre 1928. Impugnando le critiche, anche le più radicali, al limite della diffamazione, con serenità, ironia, certezza della propria identità l'Opus Dei ha, in poche settimane, diradato le nuvole che la perseguitavano, quando era impossibile accertare se l'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, il giudice della Corte Suprema Usa Antonin Scalia, il senatore Santorum o la ministro inglese Ruth Kelly aderissero, o no, all'Opus Dei.

E John Allen, un liberal a lungo assai scettico sull'Opera, ne traccia nel suo saggio un ritratto simpatizzante, avversario conquistato dal libero accesso. «Il "Codice da Vinci"? Ci rende più forti», dice Echevarrìa a Vittorio Messori sul Corriere. «Per noi Dan Brown è un dono della Provvidenza. Grazie alle sue mistificazioni possiamo finalmente farci conoscere meglio per quel che siamo. Ecco perché...la nostra difesa oggi è l'attacco» dichiara a Panorama

il portavoce italiano Opus Dei Giuseppe Corigliano e gli fa eco, su Newsweek il vicario americano dell'Opera, Thomas Bohlin che, per spiegare come la prelatura personale influenzi i suoi 85 mila aderenti nel mondo, non parla di cilici, non si affanna a smentire i transfughi che denunciano lavaggi del cervello e cultura da setta. Ricorda piuttosto i corsi per manager stile Dale Carnegie, dove si apprende un modello e poi lo si usa a modo proprio. E sulle critiche all'opulenza dell'Opus Dei, accusata spesso di sostenere gli affari meno limpidi del Vaticano con una cassaforte ricca di due miliardi di euro, Bohlin se la cava in battuta: «Beh, non siamo come i francescani che vanno in giro con le scarpe bucate guidando macinini scassati».

Una svolta, da studiare con attenzione. Quando Kenneth Woodward, lo studioso autore del saggio «La fabbrica dei santi», rilanciò le accuse di antisemitismo rivolte a Escrivà e al troppo rapido processo di beatificazione, l'Opus Dei tirò le fila dietro le quinte, protestando grazie ai suoi membri più influenti contro le critiche. Ora addio al «no comment» e via con le interviste.

Che la trasparenza sia sempre migliore della segretezza è lezione che la Casa Bianca imparò ai tempi della malattia di Ronald Reagan e che il Vaticano apprese, grazie agli sforzi del portavoce Joaquin Navarro-Valls (a sua volta spesso indicato come vicino all'Opera), quando ad ammalarsi fu Papa Wojtyla. Ascoltando i consiglieri più accorti l'avvocato Gianni Agnelli rese pubblica la propria cartella clinica, impedendo, con intelligenza, che pettegoli e speculatori agissero nell'ombra.

Sarebbe ora che, nell'era dei media globale, tutti i potenti, della politica, dell'economia, dello sport (anche del calcio!), della religione, comprendessero la lezione che l'Opus Dei ha colto con successo, grazie al Codice da Vinci: che è vero, come predica San Giovanni, che «gli uomini preferiscono le tenebre alla luce» ma al tempo stesso è vero che «la verità vi renderà liberi» perché in ogni critica c'è un seme di concretezza. Con un sorriso e più trasparenza l'Opus Dei fuga tante ombre, attrae nuovi possibili membri, magari presto diversi dai tradizionali tecnocrati e cristiani conservatori del passato. Chi, individuo o istituzione, si chiude in se stesso, è perduto. Chi si apre muta e si salva.

Gianni Riotta // Il Corriere della Sera