Un dito a tre centimetri dal naso

Gaetano Sciarrone, 49 anni, soprannumerario dell’Opus Dei, sposato, con una figlia, racconta con semplicità il modo in cui ha conosciuto l’Opus Dei e il cambiamento avvenuto nella sua vita nello scoprire il senso della vocazione cristiana.

Una ventina d'anni fa viaggiavo spesso in macchina per lavoro, e un giorno, tornando da Roma a Messina dove abito, uscii dall'autostrada per percorrere la statale che da Lagonegro porta a Falerna, dove mi sarei reimmesso in autostrada. Ma anche qui trovai un gran traffico.

Era estate e le strade che attraversano i paesi prospicienti quella bellissima costa calabra erano pieni di turisti. Improvvisamente – l’auto era ferma nel traffico - riconobbi Vincenzo, che conoscevo dai tempi del liceo e che passava lì le sue vacanze. A dire il vero non è che ci conoscessimo granché, ma in certi momenti un viso noto e un sorriso rinfrancano più di un condizionatore. Breve e gradevole chiacchierata.

Ed a proposito di strade, ero reduce da un lungo momento di assenza dalla Chiesa: non praticavo perchè mi ero convinto – sbagliando – che la fede era una cosa e la religione un’altra.

In realtà, non avevo ancora inforcato le lenti giuste per correggere quella che definirei la “balbuzie oftalmica”, una patologia dell’anima che ti fa vedere a singhiozzo tutto opaco e scuro: è contagiosa e ti fa considerare importanti cose che non lo sono e ti procura fastidio perchè sei portato a confondere l’ambizione smodata con la legittima aspirazione a migliorarti… e come sempre, non riconoscendoti malato, non ti curi e le cose peggiorano. Gli occhiali giusti invece aiutano, tra l'altro, a guardare gli altri con stupore continuo. Che gioia quando poi li ho inforcati.

Qualche anno dopo ho ricominciato a frequentare la Messa e un giorno all’uscita mi sono rivisto con Vincenzo che puntandomi un dito a tre centimetri dal naso, sorridendo ma con fare serio domandò: “Ma tu, come preghi il tuo Angelo Custode?”. Ormai penso a questa frase come a quel particolare momento in cui si fondono la Grazia e la libertà personale…

Così fu che qualche giorno dopo Vincenzo mi invitò a un ritiro mensile a Reggio Calabria (allora a Messina non c’erano attività dell’Opera), tenute da persone di Catania dell’Opus Dei. Cominciai ad andarci sempre più spesso: mi piaceva il modo con il quale venivo guardato e aiutato. E ricordo con gioia e nostalgia le belle chiacchierate che facevo sul traghetto, di ritorno a Messina, con don Francesco, un giovane e longilineo sacerdote dell’Opera, ora a Trieste, che apprezzava particolarmente i famosi arancini dei traghetti…

Poi, per un mio fraintendimento diradai le mie presenze e finii per non andarci più. Mi ero certo ricreduto su qualche inesattezza che prima avevo sentito circa l’Opus Dei: ormai mi piaceva, ma pensavo che non facesse per me. Nel frattempo Vincenzo si era trasferito per lavoro a Catanzaro e io annoveravo l’Opera tra le mie buone esperienze passate.

Un bel giorno capitò in negozio, sono arredatore, un cliente baffuto e simpatico. Facemmo amicizia e scoprii che aveva avuto una giovinezza avventurosa, o perlomeno singolare: prima deejay, poi gestore di villaggi vacanza, poi poliziotto, Franco era ora un simpatico e compassato avvocato che voleva comperare una cucina. Tra le varie discussioni, il dialogo, chissà come, tocco anche l’Opera. Anni dopo, sorridendo, abbiamo ricordato quei momenti come i primi timidi e reciproci tentativi di fare apostolato con qualcuno.

Frattanto Vincenzo, diligente come tutti gli ingegneri, non mi aveva mollato e perseverava. Pur vivendo a Catanzaro, quando periodicamente veniva a Messina per far visita ai genitori, non mancava di avvertirmi circa le attività che continuavano a svolgersi a Reggio Calabria, a cura di persone dell’Opus Dei che venivano da Catania e da Palermo.

E fu un sabato che successe: di mattina Franco venne in negozio a discutere del suo acquisto, e di pomeriggio ci trovammo insieme sul molo dei mezzi veloci per andare a Reggio. Fin lì era una coincidenza simpatica, ma che gradevole e reciproca meraviglia quando scoprimmo che, l’uno all’insaputa dell’altro, aspettavamo entrambi quei tizi che da Palermo ci avevano dato appuntamento per andare a Reggio Calabria!

E poi, quante traversate insieme! È un ricordo particolarmente gradevole, perché quel simpatico e mai domo commercialista che veniva da Palermo – anche lui si chiama Franco - sfruttava così bene quel tempo di traversata per farmi, lo avrei capito anni dopo, colloqui fraterni pieni di amicizia e confidenza. Quanto mi piacevano quelle chiacchierate!

Poi qualcuno decise che poteva essere utile fare qualcosa di serio anche a Messina. Cominciarono a venire da Palermo altri due sorridenti e misurati signori: un vigoroso sacerdote napoletano che era stato avvocato e un giovane architetto di origini milanesi, con la passione per l’alpinismo e per gli occhiali da sole.

Le loro visite furono sempre più cadenzate e sempre più coinvolgenti: questo fu l’inizio del lavoro formativo e apostolico dell’Opus Dei a Messina, che per grazia di Dio ha smosso e commosso un sacco di gente, ha prodotto e produce buoni frutti apostolici; e ci siamo resi conto che non contano le persone (il nostro amico architetto è tornato alle sue nebbie meneghine), che sono soltanto strumenti (e infatti cambiano), ma la grazia di Dio, che ha inondato di gioia me e tanti altri messinesi, pur con i nostri straordinari difetti. E così, piano piano, nel modo più naturale, mi sono reso conto che, malgrado la mia convinzione di essere inadatto per l’Opera, invece l’Opera faceva proprio per me: e diventammo dell’Opus Dei, Franco l’avvocato (però la cucina gliel’ho venduta prima!), io e tanti altri.

Un tempo dicevo di essere grato all'Opera perchè mi aveva fatto ulteriormente innamorare di Barbara – mia moglie - poi ho capito che, anche cronologicamente, era accaduto il contrario... Che gran gioia quindi desumere che grazie anche all'amore di mia moglie, piano piano sto imparando a voler sempre più bene all'Opera.

In questo voler bene, ho scoperto anche il senso profondo e sincero dell’amicizia. Ma ciò consente a mia figlia Stella di prendermi garbatamente in giro circa la scelta degli amici: le avevo detto fin da piccolina di coltivarsi i buoni amici perché soltanto quelli che durano, vagliati dalla vita e dalle vicissitudini personali, diventano il tesoro prezioso per il resto dei giorni! Grave errore sottovalutare la memoria di una figlia, che continua a dileggiarmi, visto che ormai di veri amici ne ho proprio tanti, e non li avevo certo scelti io.

Nel tempo ho elaborato una teoria per difendermi da questi addebiti di mia figlia. Quando ho avuto la fortuna di conoscere certe persone credevo che emanassero solamente un buon profumo di semplicità; adeguando il mio olfatto, capii in seguito che si trattava di aroma di sincerità; infine solo dopo molti esercizi di ginnastica olfattiva ho finalmente compreso che quella buon fragranza che ho la fortuna di sentire era, ed è, profumo di verità.

Per finire aggiungo che in atto ho gravi difficoltà lavorative perché purtroppo si è dovuto chiudere il negozio; in fondo, è la dimostrazione pratica che il Signore ci vuole felici anche in mezzo ai problemi più gravi. Mi do da fare per trovare un altro lavoro (alla mia età non è facile), e chiedo aiuto a san Josemaría, che di lavoro se ne intendeva. Per fortuna, un amico tennista mi ha confidato che la ricerca del lavoro è il lavoro più nobile ed è, se così posso dire, ad alto indice di santificabilità.

Messina, maggio 2009