Lavoro e contemplazione (1)

Essere contemplativi è godere dello sguardo di Dio. Per questo chi sa di essere in sua compagnia lungo la giornata, vede con occhi diversi i compiti da svolgere.

Vorrei che oggi, in questa nostra meditazione, ci persuadessimo una volta per sempre della necessità di avviarci a essere anime contemplative, nel bel mezzo della strada e del lavoro, grazie a un colloquio costante col nostro Dio che non deve mai venir meno durante tutta la giornata. Se vogliamo seguire lealmente le orme del Maestro, è questa l’unica via [1].

Per quanti siamo stati chiamati da Dio a santificarci in mezzo al mondo, trasformare il lavoro in orazione e avere anima contemplativa è l’unico cammino, perché o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai [2].

Conviene che meditiamo in profondità quest’insegnamento capitale di san Josemaría. In questo testo rifletteremo riguardo alla contemplazione; altre volte ci fermeremo ad approfondire la vita contemplativa nel lavoro e nelle attività della vita ordinaria.

COME A NAZARET, COME I PRIMI CRISTIANI

La scoperta di Dio nelle cose ordinarie di ogni giorno, dà al proprio lavoro il suo valore ultimo e la sua pienezza di senso. La vita occulta di Gesù a Nazaret, gli anni intensi di lavoro e di preghiera, durante i quali Gesù condusse una vita normalecome la nostra, se vogliamo –, divina e nello stesso tempo umana [3], mostrano che il lavoro professionale, la dedicazione alla famiglia e alle relazioni sociali non sono un ostacolo per pregare sempre [4], ma occasione e mezzo per una vita intensa di rapporto con Dio, fino a che arriva un momento nel quale è impossibile stabilire una differenza tra lavoro e contemplazione.

Per questa strada di contemplazione nella vita ordinaria, seguendo le orme del Maestro, si svolse la vita dei primi cristiani: «quando passeggia, parla, riposa o legge, il credente prega» [5], scriveva un autore del II secolo. Anni dopo San Gregorio Magno attesta, come un ideale fatto realtà tra numerosi fedeli, che «la grazia della contemplazione non si dà ai grandi e non ai piccoli; ma la ricevono molti grandi, e anche molti piccoli, sia tra quelli che vivono ritirati dal mondo che tra le persone sposate. Pertanto, se non c’è alcuno stato tra i fedeli che resti escluso dalla grazia della contemplazione, chi custodisce interiormente il cuore può essere illuminato da questa grazia» [6].

Il Magistero della Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, ha ricordato molte volte questa dottrina, così importante per coloro che hanno la missione di portare Cristo dappertutto e trasformare il mondo con lo spirito cristiano. «Le attività giornaliere si presentano come un prezioso mezzo di unione con Cristo, potendo divenire ambito e materia di santificazione, terreno di esercizio delle virtù, dialogo d’amore che si realizza nelle opere. Il lavoro viene trasfigurato dallo spirito di orazione e diventa così possibile restare in contemplazione di Dio, anche mentre si è intenti nel disbrigo di varie occupazioni» [7].

LA CONTEMPLAZIONE DEI FIGLI DI DIO

Il Catechismo insegna che «la contemplazione di Dio nella sua gloria è chiamata dalla Chiesa visione beatifica”» [8]. Di questa contemplazione piena di Dio, propria del Cielo, possiamo avere un certo anticipo su questa terra, un inizio imperfetto [9], che, benché sia diverso dalla visione, è già una vera contemplazione di Dio, così come la grazia, essendo di un ordine diverso dalla gloria, è, tuttavia, una vera partecipazione alla natura divina. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto [10], scrive San Paolo.

Questa contemplazione di Dio come in uno specchio, durante la vita presente è possibile grazie alle virtù teologali: alla fede e alla speranza vive, informate dalla carità. La fede, unita alla speranza e vivificata dalla carità «ci fa gustare in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù» [11].

La contemplazione è una conoscenza amorosa e gioiosa di Dio e dei suoi disegni manifestati nelle creature, nella Rivelazione soprannaturale, e pienamente nella Vita, Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo nostro Signore. «Scienza d’amore» [12] la chiama San Giovanni della Croce. La contemplazione è una chiara conoscenza della verità, ottenuta non da un processo di ragionamento ma da un’intensa carità [13].

L’orazione mentale è un dialogo con Dio. Mi hai scritto: “Pregare è un parlare con Dio. Ma, di che cosa?. –Di che cosa? Di Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazioni quotidiane…, debolezze! E atti di ringraziamento e suppliche: e Amore e riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscersi: “stare insieme” [14]. Nella vita spirituale questo rapporto con Dio tende a semplificarsi via via che aumenta l’amore filiale, pieno di fiducia. Avviene allora che,spesso, non sono più necessarie le parole per pregare, né quelle a voce alta, né quelle interiori. Le parole vengono meno, la lingua non riesce a esprimersi; anche l'intelletto si acquieta. Non si discorre, si ammira! [15].

Questa è la contemplazione, un modo di pregare attivo, ma senza parole, intenso e sereno, profondo e semplice. Un dono che Dio concede a coloro che lo cercano con sincerità, mettono tutta l’anima nel compimento della sua Volontà, con opere, e cercano di stare alla sua presenza. Dapprima una giaculatoria, poi un'altra, e un'altra ancora... finché questo fervore appare insufficiente, perché le parole sono povere... e allora subentra l'intimità divina, lo sguardo fisso in Dio, senza soste e senza mai stancarsi [16]. Questo può succedere, come insegna san Josemaría, non solo nei momenti dedicati espressamente all’orazione, ma anche mentre svolgiamo con la massima perfezione possibile, pur con i nostri errori e con i nostri limiti, i compiti propri della nostra condizione e del nostro lavoro [17].

SOTTO L’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo inabitano nell’anima in grazia [18]. Siamo templi di Dio [19]. Non bastano le parole per esprimere la ricchezza del mistero della Vita della Santissima Trinità in noi: il Padre che eternamente genera il Figlio e che con il Figlio spira lo Spirito Santo, vincolo di Amore sussistente. Con la Grazia di Dio facciamo parte di questa vita come figli. Il Paraclito ci unisce al Figlio che ha assunto la natura umana per farci partecipi della natura divina: quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio, che grida: «Abbà! Padre!» [20]. E in questa unione con il Figlio non siamo soli ma formiamo un corpo, il Corpo mistico di Cristo, al quale tutti gli uomini sono chiamati a incorporarsi come membra vive e a essere, come gli apostoli, strumenti per attrarre altri, partecipando al sacerdozio di Cristo [21].

La vita contemplativa è la vita propria dei figli di Dio, vita di intimità con le Persone Divine che si riversa nel desiderio apostolico. Il Paraclito infonde in noi la carità che ci permette di raggiungere una conoscenza di Dio che senza la carità è impossibile, poiché chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore [22]. Chi più ama meglio lo conosce, poiché questo amore – la carità soprannaturale – è una partecipazione dell’infinita carità che è lo Spirito Santo [23], che scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui?. Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio [24].

Questo Amore con la maiuscola, instaura nella vita dell’anima una stretta familiarità con le Persone Divine, e una conoscenza di Dio più acuta, più rapida, certa e spontanea, in profonda sintonia con il cuore di Cristo [25]. Anche sul piano umano coloro che si amano si comprendono con più facilità, e per questo san Josemaría ricorre a questa esperienza per far comprendere in qualche modo che cos’è la contemplazione di Dio; per esempio, ripeteva che nella sua terra a volte si diceva: guarda come lo contempla!, e spiegava come questo modo di dire si riferiva a una madre che aveva il suo bambino in braccio, a un fidanzato che guardava la sua ragazza, alla moglie che vegliava il marito. E’ così che dobbiamo contemplare il Signore.

Però tutta la realtà umana, per bella che sia, rimane solo un’ombra della contemplazione che Dio concede alle anime fedeli. Se la carità soprannaturale supera in altezza, qualità e forza qualsiasi amore semplicemente umano, che dire dei Doni dello Spirito Santo che ci permettono di essere guidati docilmente da Lui? Così la crescita di questi Doni – Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timore filiale – cresce la connaturalità o la familiarità con Dio e si dispiega tutto il colore della vita contemplativa.

In particolare, con il Dono della Sapienza – il primo e il più grande dei Doni dello Spirito Santo [26] – ci viene concesso non solo di conoscere e credere alle verità rivelate su Dio e sulle creature, come è proprio della fede, ma di assaporare queste verità, di conoscerle con un «certo sapore di Dio» [27]. La sapienza – sapientia – è una sapida scientia: una scienza che si gusta. Grazie a questo dono non solo si crede all’Amore di Dio, ma lo si sa in un modo nuovo [28]. È un sapere al quale si arriva solo con santità: e ci sono anime nascoste, ignorate, profondamente umili, sacrificate, sante, con un senso soprannaturale meraviglioso: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli [29].Con il dono della sapienza la vita contemplativa si addentra nelle profondità di Dio [30]. In questo senso san Josemaría ci invita a meditare un testo di San Paolo che ci propone tutto un programma di vita contemplativa – conoscenza e amore, orazione e vita – (…): Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscer l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. (Ef 3, 17-19) [31].

Dobbiamo implorare dallo Spirito Santo il Dono della Sapienza insieme agli altri doni, da esso inseparabili. Sono i regali dell’Amore divino, i gioielli che il Paraclito concede a coloro che vogliono amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.

PER LA STRADA DELLA CONTEMPLAZIONE

Quanto maggiore è la carità, più intensa è la familiarità con Dio nella quale sorge la contemplazione. Perfino la carità più debole, come quella di chi si limita a non peccare gravemente ma non cerca di compiere in tutto la Volontà di Dio, stabilisce una certa conformità con la Volontà divina. Tuttavia, un amore che non cerca di amare di più, che non ha il fervore della pietà, assomiglia di più alla formale cortesia di un estraneo che all’affetto di un figlio. Chi si accontentasse di questo nel suo rapporto con Dio, non andrebbe oltre a una conoscenza delle verità rivelate insipida e passeggera, perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era [32].

Molto diverso è il caso di chi desidera sinceramente di identificare in tutto la sua volontà con la Volontà di Dio e, con l’aiuto della grazia, adopera i mezzi: l’orazione mentale e vocale, la partecipazione ai sacramenti – la Confessione frequente e l’Eucarestia – il lavoro e il compimento fedele dei propri doveri, la ricerca della presenza di Dio lungo la giornata: un attento piano di vita spirituale insieme a un’intensa formazione cristiana.

L’ambiente attuale della società conduce molti a vivere “rivolti all’esterno”, con un’ansia costante di possedere questo o quello, di andare di qui o di là, di vedere e guardare, di muoversi, di distrarsi con sciocchezze, forse nell’intento di dimenticare il loro vuoto interiore, la perdita del senso trascendente della vita umana. A coloro che abbiamo scoperto la chiamata divina alla santità e all’apostolato, deve succedere il contrario. Quanta più attività esterna, più vita al di dentro, più raccoglimento interiore, cercando il dialogo con Dio presente nell’anima in grazia e mortificando i desideri della concupiscenza della carne, della concupiscenza degli occhi e della superbia della vita [33]. Per contemplare Dio è necessario purificare il cuore. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio [34].

Chiediamo alla Madonna che ci ottenga dallo Spirito Santo il dono di essere contemplativi in mezzo al mondo, dono che sovrabbondò nella sua vita santissima.

Javier López Díaz, Professore di Teologia Spirituale presso la Pontificia Università della Santa Croce

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[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 238.

[2] San Josemaría, Colloqui, n. 114.

[3] San Josemaría, Amici di Dio, n. 56.

[4] Lc 18, 1.

[5] Clemente di Alessandria, Stromata, 7, 7.

[6] San Gregorio Magno, In Ezechielem homiliae, 2, 5, 19.

[7] Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso «La grandezza della vita ordinaria» nel centenario della nascita del beato Josemaría, 12-I-2002, n. 2.

[8] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1028.

[9] Cfr San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 12, a. 2, c; e II-II. q. 4, a. 1; q. 180, a. 5.

[10] 1 Cor 13, 12. Cfr 2 Cor 5, 7, 1 Gv 3, 2.

[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 163.

[12] San Giovanni della Croce, Notte oscura, lib. 2, cap 18, n. 5.

[13] SanTommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 180. A. 1, c e a. 3, ad 1.

[14] San Josemaría, Cammino, n. 91.

[15] San Josemaría, Amici di Dio, n. 307.

[16] San Josemaría, Amici di Dio, n. 296.

[17] Ibidem.

[18] Cfr Gv 14, 23.

[19] Cfr 1 Cor 3, 16; 2 Cor 6, 16.

[20] Gal 4, 4-6.

[21] Cfr 1 Cor 12, 12-13, 27 Ef 2, 19.22; 4,4.

[22] 1 Gv 4, 8.

[23] Cfr San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 24, a. 7, c. In Epist. ad Rom., c. 5, lect 1.

[24] 1 Cor 2, 10-11.

[25] Cfr Mt 11, 27.

[26] Giovanni Paolo II, Allocuzione, 9-IV-1989.

[27] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 45, a. 2, ad 1.

[28] Cfr Rm 8, 5.

[29] Mt 11, 25.

[30] 1 Cor 2, 10.

[31] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 163.

[32] Gc 1, 23-24.

[33] 1 Gv 2, 16.

[34] Mt 5, 8.