“La mia vocazione”

Pina Cannas lavora da anni nella gestione dei Centri della Prelatura dell’Opus Dei e nelle attività didattiche di scuole alberghiere. In questa testimonianza racconta la storia della sua vocazione all'Opus Dei e lo spirito con cui svolge il suo lavoro..

…Decisi così di fidarmi di Dio e quest’atteggiamento ce l’ho ancora dentro, nelle situazioni difficili in cui mi trovo – perché la vita non è certo tutta rose e fiori – mi rivolgo al Signore dicendogli che mi fido di Lui, perché so che Lui mi ha chiamato, ha scelto una via precisa per me sapendo tutti i miei difetti. Così in tante occasioni dico: «Signore, mi fido di te. Sono dentro un tunnel ma so che tu mi toglierai di qui». E nella misura in cui dico «non so cosa fare, non ho forze, non so a chi rivolgermi se non a te» ricevo subito una luce. Io questo lo griderei, perché è proprio così. La vita vissuta così è una cosa meravigliosa, che non cambierei con nulla al mondo, anche se mi spaccassero la testa. La tranquillità e serenità che si ricevono sono qualcosa di non umano, perché Dio può fare quello che gli pare e piace, e se chiama qualcuno non lo abbandona mai.

L’Opus Dei e i miei genitori

Quando comunicai a casa questa mia decisione di diventare numeraria ausiliare dell’Opus Dei mio padre era un po’ preoccupato. «Non ti preoccupare papà, che forse non è sicuro» cercai di minimizzare, ma lui mi guardò bene negli occhi e mi disse: «No. Una volta presa una decisione non si deve tornare indietro». Questa sua frase mi è servita per sempre. Sicuramente i miei genitori hanno sentito il distacco, anche perché io ero la seconda figlia che se ne andava. Per mia madre era un gran dispiacere che non ci sposassimo. Però si sono resi conto che in realtà non hanno perso due figlie, ma hanno guadagnato tantissimo, perché per loro tutte le persone dell’Opera sono come figlie. Hanno poi avuto la fortuna di essere ricevuti due volte da don Álvaro Del Portillo – quando era prelato dell’Opus Dei – la prima volta con tutta la famiglia nel venticinquesimo anniversario del loro matrimonio. Lì hanno potuto constatare che effettivamente l’Opera è una famiglia e che il Prelato è veramente un padre e non lo si chiama “Padre” per formalità. Questa cosa la commentò proprio mio padre, e proseguì: «ma se il Padre attuale è così, chissà come sarà stato l’altro» (riferendosi a san Josemaría). Anche i miei fratelli, che erano un po’ agguerriti, perché per loro l’Opus Dei aveva la colpa di aver portato via le sorelle, si resero conto. E uno di loro, da sempre molto affezionato a me, si è sciolto davanti alla figura di don Álvaro. Hanno capito che se non andiamo a casa così spesso come vorrebbero è perché abbiamo una famiglia sulle spalle, non perché non ci va o perché non ci fanno andare. Mia madre in fondo fece lo tesso: non ha mai lasciato mio padre o i figli per andare al paese dei suoi genitori. O andavamo tutti insieme o niente. Così io torno ogni tanto a casa ma non partecipo a tutti gli anniversari, altrimenti sarei sempre lì. E ho una famiglia – l’Opus Dei – che richiede la mia presenza. Ai miei genitori voglio un sacco di bene, e più passa il tempo, maggiore è questo amore. Starei più tempo con loro, ma capita che non posso andare, e allora dico: «Signore, io sto qui per te, tu stai lì con loro, e dagli pace e serenità».

Un sì ripetuto ogni giorno

La libertà è una cosa molto interiore. Dall’esterno ti possono anche bombardare ma è all’interno che puoi aprire la famosa porta. Non ricordo quale autore diceva che, se non apri tu dall’interno la porta, nessuno può farlo dall’esterno. Più passano gli anni, più profondo deve essere il modo di esercitare questa libertà. Perché non è scontato che una dica di sì una volta e automaticamente vada avanti. Io ogni giorno mi rendo conto che devo dire di sì in tante piccole cose, a tante piccole richieste. Ed è a Dio che dico di sì, non alla direttrice. Questo aiuta ad essere veramente liberi. Non so spiegarlo meglio, però quando sento dire «Sono stata costretta» o «non ho la libertà» dico «Scusami, vai all’essenziale: tu perché stai qua? Perché hai detto di sì?». Io voglio vivere lo spirito dell’Opus Dei perché sta lì la mia libertà, sta lì la mia gioia, sta lì il senso della mia vita. Non avrebbe senso stare nell’Opus Dei a spintoni. Se così fosse me ne andrei a godermi la vita da un’altra parte…

…Ho sempre lavorato nel settore alberghiero. Gli studi che ho fatto nella mia vita li ho messi a disposizione delle attività dell’Opus Dei, per dare formazione alle altre, per prendermi cura delle persone attraverso il lavoro materiale. Ci sono vari modi di prendersi cura delle persone: mostrando loro affetto, servendole, stando loro vicino quando sono tese e preoccupate, partecipando alle loro gioie.