Sale, luce e fermento

Questo articolo postumo, preparato da don Álvaro nel 1989, è stato pubblicato da “Catholic Familyland”. “Mi piacerebbe soffermarmi, dichiara mons. Del Portillo, su due circostanze che costituiscono gli assi della vita della maggior parte delle persone: il lavoro e la famiglia”.

Il ruolo dei laici nella Chiesa

L'incarico che un pugno di uomini ricevette sul Monte degli Olivi, vicino a Gerusalemme, in una mattina primaverile attorno all'anno 30 della nostra era, aveva tutte le caratteristiche di una «missione impossibile». Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (At 1, 8). Le ultime parole pronunciate da Cristo prima dell'Ascensione sembravano una pazzia. Da un angolo sperduto dell'Impero romano alcuni uomini semplici - non ricchi, non sapienti, non influenti – avrebbero dovuto portare in tutto il mondo il messaggio di un uomo sottoposto alla pena di morte.

Meno di trecento anni più tardi gran parte del mondo romano si era convertita al cristianesimo. La dottrina del Crocifisso aveva sconfitto le persecuzioni del potere, il disprezzo dei sapienti, la resistenza ad alcune esigenze morali che contrastavano le passioni. E, malgrado gli alti e bassi della storia, il cristianesimo è tuttora la maggior forza spirituale dell'umanità. Solo la grazia di Dio lo può spiegare.

Ma la grazia ha agito tramite uomini che si sapevano investiti di una missione e la compirono. Cristo presentò ai discepoli questo compito non come una possibilità ma come un ordine imperativo. Leggiamo in san Marco: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato (Mc 16, 15-16). E san Matteo raccoglie le seguenti parole di Cristo: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28, 19-20). Sono parole che portano alla nostra memoria quelle pronunciate da Gesù nell'Ultimo Cena — come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo (Gv 17, 18)—, che il Concilio Vaticano II ha così commentato: «E questo solenne comando di Cristo di annunciare la verità salvifica, la Chiesa l'ha ricevuto dagli apostoli per proseguirne l'adempimento sino all'ultimo confine della terra» (CONCILIO VATICANO II, Cost. dog. Lumen gentium, n. 17).

Missione di tutti

Quando si parla della missione della Chiesa, si corre il rischio di pensare che si tratti di qualcosa che tocca a coloro che parlano dall'altare. Ma la missione che Cristo affida ai suoi discepoli deve essere portata a compimento da tutti coloro che costituiscono la Chiesa.

Tutti, ciascuno secondo la propria condizione, devono cooperare concordemente nel compito comune (Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dog. Lumen gentium, n. 30). «La vocazione cristiana», precisa il Concilio Vaticano II, «è per sua natura anche vocazione all'apostolato [...]. C'è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione. Gli Apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l'ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici, essendo partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all'interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo» (CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 2). Col Battesimo ogni cristiano è assimilato a Cristo e partecipa alla sua missione redentrice; è dovere di tutti e di ciascuno dei battezzati collaborare attivamente nel trasmettere agli uomini di ogni tempo la parola predicata da Gesù.

La dimensione apostolica della vocazione cristiana è stata sempre presente nella vita della Chiesa; però c'è stato un lungo periodo in cui la realizzazione della missione salvifica sembrava affidata solo a pochi cristiani; gli altri erano solo soggetti passivi. Il Concilio Vaticano II ha comportato in questo campo un ritorno agli inizi, nel manifestare ripetutamente l'universalità di questa chiamata all'apostolato, che costituisce non una possibilità fra le altre, ma un dovere autentico: «A tutti i cristiani quindi è imposto il nobile impegno di lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini, su tutta la terra» (CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 3).

Dove solo i laici arrivano

Ma, all'interno di questa missione, ai laici compete qualche parte specifica? Il Concilio Vaticano II aveva già dato alcuni orientamenti precisi. I fedeli comuni-si legge nella Costituzione Lumen gentium — «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità» (CONCILIO VATICANO II, Cost. dog. Lumen gentium, n. 31). E più avanti: «I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo» (CONCILIO VATICANO II, Cost. dog. Lumen gentium, n. 33). Cioè, in un ospedale la Chiesa non è presente solo grazie al cappellano: agisce anche tramite i fedeli che, come medici o infermieri, procurano di prestare un buon servizio professionale e una delicata attenzione umana ai pazienti. In un quartiere, la chiesa sarà sempre un indispensabile punto di riferimento; ma l'unico modo di giungere a quelli che non la frequentano sarà tramite altre famiglie.

L'Esortazione apostolica Christifideles laici, raccogliendo il lavoro compiuto nel Sinodo del 1987, ha approfondito questa dottrina. Riferendosi alla funzione dei laici, il Papa ricordava i pericoli che potevano presentarsi cercando di definirla: «La tentazione di riservare un interesse cos" forte ai servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene» (GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Lumen gentium, 30-XII-1988, n. 2).

Di fronte a questi due estremi, il Papa avvertiva che ciò che distingue i laici è «l'indole secolare», poiché Dio li ha chiamati a «santificare se stessi nel matrimonio o nel celibato, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali» (Ivi.,n. 15).)

Il Sinodo cercò di evitare così il doppio rischio segnalato dal Papa: stimolando il compito dei laici negli impegni temporali schiva la tentazione di un ripiegamento nelle strutture della Chiesa di fronte a una società ostile o indifferente; e chiedendo una forte coerenza tra fede e vita vuole impedire una dissoluzione dell'identità cristiana. Quindi, per essere sale della terra, è necessario stare nel mondo, ma anche non diventare insipidi.

La missione specifica dei laici resta cosi chiaramente definita: si tratta di portare il messaggio di Cristo a tutte le realtà terrene — la famiglia, la professione, le attività sociali...— e, con l'aiuto della grazia, trasformarle in occasioni di incontro di Dio con gli uomini.

I primi cristiani

Tuttavia non risponderebbe alla realtà considerare tutto quanto qui esposto come una novità posteriore al Concilio Vaticano II. I cristiani della prima ora, quelli che vissero con Gesù e con gli Apostoli o appartennero alle generazioni immediatamente successive furono molto coscienti della propria missione. La loro conversione li portava a un maggiore impegno nel compiere i doveri corrispondenti alla loro posizione nel mondo. Tertulliano. per esempio, scrive: «Viviamo come gli altri. Senza evitare il foro, i mercati, i bagni, le botteghe, le officine, gli alberghi, le vostre fiere e tutti gli altri luoghi ove si commercia, noi viviamo nel mondo assieme a voi. Con voi navighiamo, militiamo, coltiviamo la terra e commerciamo: con voi scambiamo i prodotti del nostro lavoro e li mettiamo a vostra disposizione» (TERTULLIANO, Apologetico, 42).

E in un venerabile documento dell'antichità cristiana leggiamo: «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per il territorio, né per la lingua, né per le consuetudini di vita. Perché non abitano città proprie, non usano un linguaggio particolare, non conducono uno speciale genere di vita [...]. Disseminati per città elleniche o barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte, e uniformandosi alle abitudini locali nel vestire, nei cibi e in ogni altro aspetto della vita, rivelano, per comune consenso, la meravigliosa e paradossale forma della loro vita associata» (Epistola a Diogneto, 5.). Quel che poco più oltre si scrive nello stesso documento, ci farà capire che, rimanendo nel proprio posto, i primi cristiani avevano cambiato notevolmente di condotta. «Si sposano come tutti gli altri; e come tutti generano figli, ma non espongono la prole [...], vivono nella carne, però non vivono secondo gli istinti della carne. Trascorrono l'esistenza sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi costituite, ma con il loro modo di vivere superano le leggi [...]. Per dirla in poche parole, ciò che è l'anima per il corpo, questo sono i cristiani per il mondo» (Ivi).

Come conseguenza di questo atteggiamento e della sua fervida attività apostolica, il cristianesimo si estese in poco tempo in modo stupendo: indubbiamente quei nostri fratelli contavano sulla grazia di Dio, ma, insieme con questo, sappiamo che la loro risposta fu sempre eroica: non solo di fronte alla tortura ma anche in tutti i momenti della loro vita. Non meraviglia perciò che lo stesso Tertulliano potesse scrivere: «Siamo di ieri e già abbiamo riempito l'orbe e tutte le vostre cose: le città, le isole, gli abitati, le ville, le borgate, l'esercito, il palazzo, il senato, il foro. A voi abbiamo lasciato solo i templi». (TERTULLIANO, Apologetico, 1).

Lo spirito dell'Opus Dei

Consentitemi adesso una digressione che mi sembra doverosa. La chiamata universale alla santità e all'apostolato, tanto chiara nei primi cristiani e ricordata dall'ultimo Concilio (ha scritto Giovanni Paolo II: «Questa chiamata universale alla santità è stata la consegna fondamentale affidata a tutti i figli e figlie della Chiesa da un Concilio convocato per il rinnovamento evangelico della vita cristiana. Consegna che non è una semplice esortazione morale, ma un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 16)), è una delle realtà che sono alla base dello spirito della Prelatura dell'Opus Dei. Dal 1928 il suo fondatore, il Servo di Dio Josemaría Escrivá, non cessò di ripetere che la santità e l'apostolato sono diritto e dovere di ogni battezzato. Cos", per esempio, nel 1934 scriveva: «Hai l'obbligo di santificarti. —Anche tu. —Chi pensa che la santità sia un impegno esclusivo di sacerdoti e di religiosi? A tutti, senza eccezione, il Signore ha detto: "Siate perfetti, com'è perfetto il Padre mio che è nei cieli"» (SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cammino, n. 291). E riferendosi all'apostolato, scrive: «Ancora risuona nel mondo quel grido divino: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e che altro voglio, se non che divampi?". —Eppure, vedi: è quasi tutto spento...Non ti vien voglia di propagare l'incendio?» (Ivi, n. 801).

Giustamente, quindi, si può considerare monsignor Escrivá un pioniere degli insegnamenti del Concilio Vaticano II in questo campo. Lo affermava con chiarezza il cardinale Poletti nel Decreto di Introduzione della Causa di beatificazione del fondatore dell'Opus Dei con le seguenti parole: «Per avere proclamato la vocazione universale alla santità, da quando fondò l'Opus Dei nel 1928, monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer è stato unanimemente riconosciuto come un precursore del Concilio, proprio in ciò che costituisce il nucleo fondamentale del suo magistero, tanto fecondo per la vita della Chiesa» (CARDINALE UGO POLETTI, Decreto di Introduzione della Causa di beatificazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer y Albás).

Con l’esempio e la parola

In un mondo sempre più materialista, il lavoro del cristiano del ventesimo secolo rassomiglia a quello che compirono i primi discepoli di Cristo. Come loro, dovrà trasmettere la Buona Novella con l'esempio e con la parola.

In questa vita non potremo mai conoscere gli effetti del nostro comportamento-il buon esempio o lo scandalo provocato-sulle persone che ci sono state attorno. C'è un primo, essenziale obbligo per ogni cristiano: agire in sintonia con la propria fede, essere coerente con la dottrina che professa. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (Mt 5, 14-16).

Tuttavia, l'esempio non è sufficiente. «Questo apostolato non consiste soltanto nella testimonianza della vita; il vero apostolo cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola sia ai non credenti per condurli alla fede, sia ai fedeli per istruirli, confermarli ed indurli a una vita più fervente» (CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 6).

Non è questione di «specialisti». Il Concilio Vaticano II ha ricordato il dovere, che ogni laico ha, di fare apostolato individualmente: «L'apostolato che ciascuno deve esercitare personalmente, sgorgando in misura abbondante dalla fonte di una vita veramente cristiana (Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni altro apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile. A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, anzi in certe circostanze l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici, di qualsiasi condizione, ancorché non abbiano la possibilità o l'occasione di collaborare nelle associazioni» (Ivi., n. 16.)

Le occasioni in cui questo apostolato può svolgersi sono innumerevoli: in realtà, tutta la vita deve essere un continuo apostolato. Però mi piacerebbe soffermarmi su due circostanze che costituiscono gli assi della vita della maggior parte delle persone: il lavoro e la famiglia.

Per mezzo del lavoro professionale

Tra i diversi motivi che inducono gli uomini a frequentarsi, a stabilire un'amicizia, senza dubbio c'è l'esercizio della propria professione. Potrebbe sembrare che l'ambito dell'apostolato vi sia ridotto; però non si deve dimenticare che, normalmente, è lì il luogo dove si stabiliranno relazioni profonde di fiducia che - in molte occasioni - consentono di aiutare in misura decisiva le persone con le quali si entra in rapporto.

Alcuni lavori - penso, per esempio, a quelli che sono in relazione con l'insegnamento o con i mezzi di comunicazione sociale - costituiscono una opportunità di trasmettere idee a centinaia o migliaia di persone. Ma sarebbe sbagliato pensare che solo queste professioni possono essere occasione di apostolato; in ogni occupazione. in ogni circostanza, il cristiano deve collaborare affinché gli altri diano un significato cristiano alla loro vita. Di solito non sarà necessario fare grandi discorsi, ma compiere ciò che il fondatore dell'Opus Dei chiamava «apostolato di amicizia e confidenza» e che descriveva in questi termini: «Quelle parole lasciate scivolare proprio al momento giusto all'orecchio dell'amico che vacilla; quella conversazione orientatrice che hai saputo provocare cos" a proposito; e quel consiglio professionale che migliora il suo lavoro universitario; e la discreta indiscrezione che ti porta a suggerirgli orizzonti insospettati di zelo... Tutto questo è "apostolato della confidenza"» (SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cammino, n. 973).

Questo impegno si traduce in interesse reale per ogni persona e si incanala normalmente nella conversazione personale tra due amici. «L'apostolato cristiano — mi riferisco in concreto a quello di un comune cristiano, di un uomo o di una donna che vivono come uno dei tanti tra i loro simili — è una grande catechesi in cui, mediante il rapporto personale, l'amicizia leale e autentica, si risveglia negli altri la sete di Dio e li si aiuta a scoprire orizzonti nuovi: con naturalezza, con semplicità — vi dicevo —, con l'esempio di una fede ben vissuta, con la parola amabile, ma piena della forza della verità divina» (SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 149.)

Un impegno apostolico che, tramite l'iniziativa libera e responsabile dei cristiani, si manifesterà anche nello sforzo per ottenere che le strutture sociali facilitino agli altri l'avvicinamento a Dio. In questo modo si realizzerà l'animazione cristiana dell'ordine temporale che, come abbiamo visto, il Concilio considera missione caratteristica dei laici. In tale contesto si possono capire gli appelli che nell'Esortazione apostolica Christifideles laici il Papa ha diretto ai laici impegnati nella scienza e nella tecnica, nella medicina, nella politica, nell'economia e nella cultura perché non abdichino alla propria responsabilità (Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Christifideles laici, nn. 38 e da 42 a 44), di costruire un mondo più umano e, perciò, più cristiano.

A tal fine essi si affidano ai suggerimenti e ai principi proposti dalla dottrina sociale della Chiesa. Però questa dottrina si farà vita solo tramite uomini e donne che, a Wall Street o in un mercatino rionale, concepiscano il proprio lavoro come qualcosa di più che una tonte di guadagni o uno strumento per dare la scalata a posti; tramite cittadini che. nel Comune o nell'associazione di quartiere. si preoccupino di rendere più accogliente la società: tramite intellettuali che. nell'università e nella scuola, creino cultura con senso cristiano.

La famiglia

Assieme a tutto questo apostolato attorno al lavoro — alla professione di ciascuno —, occupa un posto fondamentale quello che si realizza tramite la famiglia. Nel caso dei genitori. questo è il loro primo campo d'apostolato. il luogo dove sono stati posti da Dio per adempiere a un compito insostituibile: l’educazione dei figli.

La famiglia è la «cellula prima e vitale della società» (CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 11) e dalla sua salute o dalla sua malattia dipenderanno la salute o la malattia dell'intero corpo sociale. La società sarà più fraterna se gli uomini imparano in famiglia a sacrificarsi gli uni per gli altri. Ci sarà tolleranza e rispetto nelle relazioni umane nella misura in cui ci sia comprensione tra genitori e figli. La lealtà guadagnerà terreno nella vita sociale se si valorizza la lealtà tra i coniugi. E il materialismo indietreggerà quando la stella polare della felicità famigliare non sarà il consumo crescente.

Quanto alla cura verso i propri figli, è importante ricordare nuovamente il ruolo fondamentale dell'esempio. Giovanni Paolo II. in una delle rare occasioni in cui ha parlato di se stesso, riferendosi a suo padre commentava: «Mio padre fu una persona ammirevole e quasi tutti i miei ricordi di infanzia e di adolescenza si riferiscono a lui [...]. Il semplice fatto di vederlo inginocchiarsi ha avuto un influenza decisiva nei miei anni di gioventù. Era tanto severo con se stesso che non aveva bisogno di esserlo con suo figlio: bastava il suo esempio per insegnare la disciplina e il senso del dovere» (ANDRÉ FROSSARD, Non abbiate paura!, Rusconi, Milano 1983, p. 19). E il cardinale Luciani — il futuro Giovanni Paolo I — scriveva: «Il primo libro di religione che i figli leggono sono i genitori. È bene che un padre dica a suo figlio: l'adesso in chiesa c'è un confessore: non credi che potresti approfittare dell'opportunità?': ma è molto meglio se gli parla cos": "Vado in chiesa a confessarmi, vuoi venire con me?"» (ALBINO LUCIANI, Ilustrissimi Emsp, Padova 1996). L'esempio offerto nelle più diverse sfaccettature della vita — di lealtà con gli amici, di laboriosità, di sobrietà e temperanza, di allegria di fronte alle contrarietà, di preoccupazione per gli altri, di generosità... — rimarrà impresso in modo indelebile nelle anime dei figli.

E, insieme con l'esempio, la generosa attenzione per la loro educazione. «L'affare che dovete curare maggiormente» — era solito dire il fondatore dell'Opus Dei agli imprenditori — «è la formazione dei vostri figli». Un'educazione che sarà efficace se i genitori sanno farsi amici dei figli; se. fin da piccoli. questi si abituano ad avere fiducia in loro, ad aprire loro il proprio cuore quando hanno qualche difficoltà. Scriveva san Tommaso Moro: «Una volta tornato a casa, devo parlare con la moglie, intrattenermi con i figli, scambiare idee con i domestici. Tutto ciò fa parte della mia vita quando lo devo fare; e lo si deve fare se non vuoi essere straniero in casa tua. Ci si deve consegnare a coloro che la natura. il destino o tu stesso hai scelto come compagni» (SAN TOMMASO MORO, Utopia, Introduzione).

Il ritmo della vita moderna non sembra favorire questo impegno. Di tutto abbiamo sempre più abbondanza, salvo che di tempo. E si corre il rischio che i genitori vengano assorbiti dal lavoro, anche se per il nobile desiderio di assicurare nel miglior modo possibile il futuro dei figli. Ma questo futuro dipenderà più dal tempo che si è dedicato loro personalmente che non dal comfort che gli si è offerto. E così, quando i figli si lamentano non è per le cose che i genitori non hanno dato loro. ma perché padre e madre non hanno saputo bar loro se stessi.

Una famiglia aperta agli altri

Questo donarsi è già molto; ma non è tutto. Un cristiano cosciente della propria missione di lievito nella massa non può limitarsi all'attenzione nei confronti dei propri cari. Certo. in un mondo competitivo e duro è normale cercare nella propria famiglia l'affetto e la sicurezza che molte volte manca all'esterno. Come è anche comprensibile che, di fronte ai diversi tipi di famiglia che oggi esistono nella società, alcuni genitori cristiani cerchino di proteggere e coltivare il proprio. Ma la famiglia cristiana è una famiglia «aperta».

«La famiglia», diceva Paolo VI, «come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia [...]. Una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell'ambiente nel quale è inserita» (PAOLO VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, n. 71, citato da Giovanni Paolo II in Esort. apost. Familiaris consortio, 22-XI-1981, n. 52). L'esempio di una famiglia cristiana che, con le sue limitazioni e difficoltà. si sforza di vivere il proprio ideale, è sempre attraente, anche sotto il profilo umano. Soprattutto se questa famiglia è aperta all'amicizia con altre — di parenti, di colleghi, di vicini, degli amici dei figli —, animata da spirito apostolico. In tal modo diventerà realtà l'ideale che Giovanni Paolo II indicava dicendo che «la Chiesa domestica (la famiglia) è chiamata ad essere un segno luminoso della presenza di Cristo e del suo amore anche per i "lontani", per le famiglie che non credono ancora e per le stesse famiglie cristiane che non vivono più in coerenza con la fede ricevuta» (GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris consorti, n. 54).

D'altra parte, ogni famiglia è esposta a influenze esterne che provengono dalle leggi, dalla scuola o dall'opinione pubblica. Dal che deriva che, sia per proteggere la propria famiglia sia per aiutare gli altri, un cristiano deve preoccuparsi che nella società esista un clima favorevole all'istituzione famigliare.

«Le famiglie», si legge nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, «devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere "protagoniste" della cosiddetta "politica famigliare" ed assumersi la responsabilità di trasformare la società» (GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris consorti, n. 44).

Per la nuova evangelizzazione

I primi cristiani seppero cambiare la propria società, mettendo tutto il proprio impegno al servizio del comando di Cristo: Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore Operava insieme con loro e confermava la parole con i prodigi che l'accompagnavano (Mc 16, 20).

Alle porte del terzo millennio, di fronte a una società che sembra fuggire all'impazzata da Dio, noi cristiani di questo secolo siamo stati chiamati a realizzare una nuova evangelizzazione «nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire» (SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 114).

E, con parole di Giovanni Paolo II, «ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l'unità d'una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza» (GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Christifideles laici, n. 34). Il mondo attende cristiani senza fratture, cristiani tutti d'un pezzo. Con mancanze, con errori, però con la ferma volontà di correggersi ogni volta che sia necessario e continuare a procedere sul sentiero che, con il sostegno della Vergine, ci conduce al Padre tramite Cristo, Via, Verità e Vita.