33. Come avvenne la morte di Gesù?

Quasi in ogni pagina del Vangelo ci imbattiamo in personaggi che si chiedono qualcosa su Gesù: da dove viene, come mai insegna con tanta autorità, da dove deriva il suo potere, perché fa miracoli, perché sembra opporsi alle tradizioni, perché le autorità lo respingono. Sono domande che si fecero allora e si sono continuate a fare lungo i secoli. A queste domande se ne sono aggiunte altre sul Gesù storico: che lingua parlava, che rapporto aveva con Qumran, è esistito davvero Ponzio Pilato?

Gesù morì inchiodato ad una croce il giorno 14 di Nisan, venerdì 7 aprile dell’anno 30. Così si può dedurre dall’analisi critica delle relazioni evangeliche, contrastati dalle allusioni alla sua morte trasmesse nel Talmud (cfr.TB, Sanhedrin VI,1 ; fol, 43°).

La crocifissione era una pena di morte che i romani applicavano a schiavi e sediziosi. Aveva un carattere infamante, e quindi non poteva applicarsi a un cittadino romano, ma soltanto a stranieri. Esistono numerose testimonianze sul fatto che da quando l'autorità romana si impose nella terra di Israele questa pena venne applicata con relativa frequenza. Il procuratore di Siria Quintilio Varo nell’anno 4 a.C. crocifisse duemila giudei come rappresaglia per una sommossa.

Per ciò che riguarda il modo con cui venne crocifisso Gesù sono molto interessanti le scoperte fatte nella necropoli di Givat ha-Mivtar appena fuori di Gerusalemme. Lì si trovò la sepoltura di un uomo che fu crocifisso nelle prima metà del secolo I d.C., cioè a dire contemporaneo di Gesù.

L'iscrizione sepolcrale permette di conoscere il suo nome: Giovanni, figlio di Haggol. Alto 1 metro e 70, al momento della morte dovrebbe aver avuto venticinque anni. Non c’è dubbio che si tratta di un crocifisso, giacché i becchini non poterono staccare il chiodo che univa i suoi piedi, e dovettero seppellirlo con il chiodo, che a sua volta conservava parte del legno. Questo ha permesso di sapere che la croce di questo giovane era di legno di ulivo. Sembra che avesse una leggera sporgenza di legno fra le gambe, che serviva forse per appoggiarsi un poco, utilizzandolo come sedia, in modo che il reo potesse recuperare un poco le forze e si prolungasse l’agonia. Con questo piccolo sollievo si evitava una morte immediata per asfisia, che sarebbe avvenuta se tutto il peso del corpo fosse stato retto soltanto dalle braccia. Le gambe sembra fossero leggermente aperte e piegate. I resti trovati nella sua sepoltura mostrano che le ossa delle mani non erano perforate né rotte. Quindi, la cosa più probabile è che le braccia di quest’uomo fossero state semplicemente legate con forza alla traversa della croce (a differenza di Gesù, che fu inchiodato). I piedi invece erano stati perforati dai chiodi. Uno di questi continuava a conservare fissato un chiodo grande e abbastanza lungo. Per la posizione in cui si trova si può pensare che lo stesso chiodo attraversò i due piedi nel seguente modo: le gambe erano un poco aperte attorno al palo, la parte sinistra della caviglia destra e la parte destra della sinistra erano appoggiate ai lati del palo trasversale, il lungo chiodo attraversava prima un piede da caviglia a caviglia, dopo il palo di legno e poi l’altro piede. Il supplizio era tale che Cicerone qualificava la crocefissione come il “maggior supplizio”, “il più crudele e terribile supplizio”, “il peggiore e l’ultimo dei supplizi, che si infligge agli schiavi” (In Verrem II, lib. V, 60-61).

Tuttavia, per avvicinarsi alla realtà di quello che fu la morte di Gesù sulla croce non basta soffermarsi sui dolorosi e tragici dettagli che la storia è capace di illustrare, giacché la realtà più profonda è quella che confessa “che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture” (1 Co 15,3). Nella sua donazione generosa della morte in Croce manifesta la grandezza dell’amore di Dio verso ogni essere umano: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, essendo noi peccatori, Cristo morì per noi” (Rm 5,8).