Educare all’amicizia

“L’ideale per i genitori consiste nel farsi amici dei figli”, diceva san Josemaría. Soltanto così si instaura la fiducia che ne rende possibile l’educazione.

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La cosa più importante dell’educazione non consiste nel trasmettere alcune conoscenze o abilità: è piuttosto aiutare l’altro a crescere come persona, a dispiegare le proprie potenzialità, che sono un dono ricevuto da Dio.

Logicamente, è necessario anche istruire, comunicare i contenuti, ma senza perdere mai di vista che educare ha un significato che va oltre l’insegnamento di alcune capacità manuali o intellettuali; significa, invece, mettere in gioco la libertà dell’educando e, insieme, la sua responsabilità.

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Ecco perché, nelle questioni che riguardano l’educazione, è indispensabile proporre mete, obiettivi adeguati, che, pur dipendendo dall’età, possono sempre essere percepiti come qualcosa di sensato che dà significato e valore all’attività intrapresa.

Educare con l’amicizia

Parimenti, non si può dimenticare che, specialmente nelle prime fasi della crescita, l’educazione ha una grande carica affettiva. La volontà e l’intelligenza non si sviluppano al di fuori dei sentimenti e delle emozioni. L’equilibrio affettivo è un requisito indispensabile affinché l’intelletto e la volontà si manifestino; altrimenti, è facile che si producano alterazioni nella dinamica dell’apprendimento e forse, in seguito, uno sconvolgimento della personalità.

Ma com’è possibile ottenere ordine e misura negli affetti del bambino, e in seguito in quelli dell’adolescente e del giovane? Ci troviamo alle prese con una delle domande più ardue dell’attività pedagogica, fra l’altro perché si tratta di una questione pratica che riguarda ogni famiglia. Ad ogni modo, si può dare una prima risposta: è di una importanza vitale generare fiducia.

Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino[1], raccomanda l’Apostolo. In altre parole, i nostri figli rischiano di diventare timorosi, privi di audacia, con una grande paura di assumersi una qualsiasi responsabilità. Pusillus animus, uno spirito piccolo, meschino.

Generare fiducia ha a che vedere con l’amicizia, che è il clima adatto a far nascere un’azione veramente educativa: i genitori devono trovare il modo di diventare amici dei figli. Questo era il consiglio ripetuto di san Josemaría: L’imposizione autoritaria e violenta non è una buona risorsa educativa. L’ideale per i genitori consiste piuttosto nel farsi amici dei figli: amici ai quali si confidano le proprie inquietudini, con cui si discutono i diversi problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e sincero[2].

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A prima vista non è del tutto chiaro che cosa significhi in realtà “farsi amico dei figli”. Si pensa all’amicizia tra pari, tra uguali, ma l’uguaglianza contrasta con la naturale asimmetria della relazione genitori-figli.

I figli ricevono dai genitori sempre molto di più rispetto a ciò che essi possono dare loro. Non sarà mai possibile saldare il debito che hanno contratto. Quando i genitori si sacrificano per i loro figli, lo fanno in modo semplice e naturale; non considerano una privazione ciò che donano ai figli. Badano poco alle proprie necessità personali, o meglio, fanno diventare proprie le necessità dei figli. Arriverebbero a dare la vita per loro, e di fatto la danno giorno dopo giorno, senza accorgersene. È molto difficile trovare una maggiore gratuità nelle relazioni tra le persone.

Tuttavia è anche vero che i genitori si arricchiscono con i figli; la paternità è una esperienza sempre nuova, come lo è la persona stessa. I genitori ricevono dai figli alcune cose molto importanti: prima di tutto, affetto, una cosa che nessun altro potrà dare al loro posto, perché ogni persona è unica; poi, l’opportunità di uscire da se stessi, di “espropriarsi” nella donazione all’altro – il marito alla moglie, la moglie al marito, entrambi ai figli -, e così crescere come persone.

Una persona può trovare la propria pienezza nell’amore. Come insegna il Concilio Vaticano II, «l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé»[3]. Dare e ricevere amore è l’unica cosa che riesce a riempire la vita umana di contenuto e di “peso”: «Amor meus, pondus meum», dice sant’Agostino[4]. Orbene, l’amore è più vivo in chi è capace di star male per la persona che ama, di quanto non lo sia in chi è capace soltanto di star bene con essa.

L’amore comporta sempre un sacrificio, ed è logico che lo richieda anche generare un’atmosfera di fiducia e di amicizia con i figli. L’ambiente di una famiglia si deve costruire, non è una cosa già bella e fatta. Questo non significa che sia difficile da creare o che richieda una preparazione speciale: occorre fare attenzione ai piccoli dettagli, occorre saper manifestare nei gesti l’amore che si ha dentro.

L’ambiente familiare è legato, prima di tutto, all’affetto che i coniugi hanno l’uno per l’altro e che mostrano di avere: si potrebbe dire che l’affetto che i figli ricevono quasi tracima da quello che i genitori si scambiano. Di questo clima vivono i bambini, anche se forse lo percepiscono quasi senza accorgersene.

È chiaro che questa armonia acquista ancora più importanza quando si tratta di azioni che riguardano direttamente i figli. Nel campo dell’educazione, è di capitale importanza che i genitori procedano all’unisono: per esempio, un provvedimento adottato da uno dei due dev’essere assecondato dall’altro; altrimenti, si educa male.

Anche i genitori si devono educare reciprocamente, educandosi per educare. Un padre e una madre male educati difficilmente saranno dei buoni educatori. Devono crescere arricchendo il loro vincolo matrimoniale, migliorando le proprie virtù, cercando insieme aiuti positivi per i figli.

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Educare all’amicizia

La fiducia è il “terreno di coltura” dell’amicizia. L’amicizia, a sua volta, crea un ambiente amabile e fiducioso, sicuro, sereno; genera un clima che non solo rende possibile un’adeguata comunicazione tra i coniugi, ma favorisce anche l’interscambio con i figli e tra i figli.

In questo senso, sono diversi i conflitti tra i coniugi e quelli tra i fratelli. Accade spesso, ed è persino normale, che questi ultimi litighino fra loro; tutti, in un modo o nell’altro, siamo in competizione per accaparrarci le cose che ci interessano, specialmente se sono limitate di numero o possibilità: ogni fratello vorrebbe camminare tenendo per mano la mamma oppure occupare il posto in auto accanto a chi guida, o essere il preferito del padre o essere il primo a spacchettare il giocattolo nuovo. Però queste liti possono diventare anche molto educative e aiutare a socializzare. Esse danno ai genitori l’occasione per insegnare ad amare il bene dell’altro, a perdonare, a saper cedere o, se è necessario, a mantenere la posizione. I rapporti con gli altri fratelli, messi bene a fuoco, fanno sì che l’affetto naturale verso la propria famiglia intensifichi l’educazione nelle virtù e forgi un’amicizia che durerà tutta la vita.

Però in una famiglia bisogna porsi il problema di intensificare anche l’amicizia tra i coniugi. Spesso le discussioni tra marito e moglie hanno origine da un difetto di comunicazione. Le cause possono essere assai varie: un diverso modo di valutare le cose, avere dato spazio alla noia e all’abitudine nella quotidianità, consentire che affiori un momento di malumore... Insomma, si perde il filo del dialogo.

Occorre esaminarsi, chiedere perdono e perdonare. Se dovessi dare un consiglio ai genitori, direi soprattutto questo: fate che i vostri figli – che fin da bambini, non illudetevi, notano e giudicano tutto – vedano che voi cercate di vivere con coerenza la vostra fede, che Dio non è solo sulle vostre labbra, ma è presente nelle vostre opere, che vi sforzate di essere sinceri e leali, che vi amate e li amate veramente[5].

I figli dai genitori si aspettano non che siano molto intelligenti o particolarmente simpatici, o che diano loro consigli straordinariamente azzeccati, e neppure che siano dei grandi lavoratori o che li riempiano di giocattoli e offrano loro splendide vacanze. I figli desiderano sicuramente vedere che i genitori si amano e si rispettano, che li amano e li rispettano; che diano loro una testimonianza sul valore e sul senso della vita, una testimonianza incarnata in un’esistenza concreta, convalidata nelle diverse circostanze e situazioni che si avvicendano lungo l’arco degli anni[6].

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Non c’è dubbio che, come diceva san Josemaría, la famiglia è il primo e più fecondo affare dei genitori, se condotto con criterio. Comporta un impegno continuo per crescere nelle virtù e un impegno ininterrotto per non abbassare la guardia. La difficoltà sta nel come riuscirci: come dare una testimonianza valida del senso della vita? Come tenere in ogni momento un comportamento coerente? In definitiva, come educare alla amicizia o, in altre parole, all’amore, alla felicità?

Si è già detto che l’amore che i coniugi si manifestano a vicenda e sanno dare ai figli risponde in parte a queste domande. Inoltre, vi sono due aspetti dell’educazione particolarmente significativi in vista della crescita della persona e della sua capacità di socializzare, e che pertanto si riferiscono direttamente alla loro felicità. Motivi eterogenei, ma ognuno a suo modo rilevanti.

Il primo, che certe volte non si valuta a sufficienza, è il gioco. Insegnare al figlio a giocare comporta spesso sacrificio e dedicazione di tempo, un bene raro che tutti vorremmo moltiplicare, anche per poter riposare.

Tuttavia il tempo dei genitori è uno dei più grandi doni che il figlio potrà ricevere; è una dimostrazione di vicinanza, un modo concreto di amare. Soltanto per questo, il gioco contribuisce a generare un clima di fiducia che migliora l’amicizia tra genitori e figli. Inoltre, il gioco crea alcuni atteggiamenti fondamentali che costituiscono la base delle virtù necessarie per affrontare l’esistenza.

Il secondo campo è quello della stessa personalità: il modo d’essere del padre e della madre, nella loro diversità, temprano il carattere e l’identità del bambino o della bambina. Se i genitori sono presenti e intervengono positivamente nell’educazione dei figli – sorridendo, facendo domande, correggendo, senza mai scoraggiarsi -, trasferiranno in loro, quasi per osmosi, un modello di essere persona, di come comportarsi e affrontare la vita.

Se lottano per essere migliori, per ascoltare e per mostrarsi allegri e amabili, offriranno ai figli una risposta vissuta alla domanda su come condurre un’esistenza felice, pur con i limiti che ben conosciamo.

Si tratta di un influsso che arriva sin nelle profondità dell’essere, la cui importanza e le cui implicazioni si constatano soltanto con il passare del tempo. Nei modelli che padre e madre offrono, il figlio scopre il contributo che dà l’essere uomo o l’essere donna alla configurazione di un vero focolare domestico; scopre anche che la felicità e la gioia sono possibili grazie all’amore reciproco; si rende conto che l’amore è una realtà nobile ed elevata, compatibile con il sacrificio.

In sostanza, in modo naturale e spontaneo, l’ambiente familiare fa sì che il figlio possa collocare nella propria vita quei punti fermi che lo aiuteranno a orientarsi per sempre, malgrado le deviazioni dominanti nella società. La famiglia è il luogo privilegiato per saggiare la grandezza dell’essere umano.

Tutto ciò che abbiamo detto costituisce un aspetto peculiare dell’amore sacrificato dei genitori. Da un lato, hanno provato la gioia di perpetuarsi; dall’altro, constatano la crescita di chi a poco a poco smette di essere una parte di loro per diventare sempre più se stesso.

Anche i genitori maturano come genitori nella misura in cui vedono con gioia crescere i loro figli e dipendere meno da loro. A partire da alcune radici vitali – che rimarranno sempre – si va operando il lento e naturale sganciamento di una nuova biografia che si dispiega inedita e che può non corrispondere alle aspettative e alle attese alimentate fin da prima della nascita.

L’educazione dei figli, la loro crescita, la loro maturazione, persino la loro indipendenza, sarà affrontata con maggiore facilità se la coppia di coniugi stimola anche un clima di amicizia con Dio. Quando la famiglia sa di essere una chiesa domestica[7], il bambino assimila con semplicità alcune pratiche di pietà, poche e brevi, apprende a situare il Signore tra i primi e più fondamentali affetti; impara a trattare Dio come Padre, la Madonna come Madre; impara a pregare seguendo l’esempio dei genitori[8].

J.M. Barrio e J. M. Martín

[1]Col 3, 21.

[2] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 27.

[3] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 24.

[4] Sant’Agostino, Le confessioni, XIII, 10.

[5] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 28.

[6] Ibid.

[7] Cfr. 1 Cor 16, 19.

[8] San Josemaría, Colloqui con Mons. Escrivá, n. 103.