La storia di Janssen

L'amicizia di alcuni ragazzi del Centro universitario Collalto di Roma con un bambino filippino malato di tumore.

Quando avete conosciuto Janssen e qual è la sua storia?

Janssen aveva otto anni e una grave forma di tumore alle ossa. Nelle Filippine non aveva la possibilità di curarsi, ed era venuto a Roma, grazie ad una onlus, per sottoporsi a un trattamento di chemioterapia. Nel Centro universitario Collalto era arrivata una mail di un sacerdote dell'Opus Dei per chiederci se potevamo preparare Janssen alla Prima Comunione. Il bambino era orfano di padre e sua madre l'aveva praticamente abbandonato. A Roma lo aveva accompagnato la nonna, anziana e ammalata, che aveva vissuto sempre in un villaggio sperduto delle Filippine: questa era la prima volta che si allontanava dal villaggio e dal marito.

Come vi siete organizzati per far fronte a una richiesta così particolare?

Era il 2011. Appena fummo informati della situazione, in due (siamo entrambi studenti universitari e frequentiamo il Centro Collalto) ci recammo all'ospedale e incontrammo Janssen e la nonna nel reparto di pediatria e oncologia. Janssen era magro e senza capelli, fragilissimo. La nonna aveva uno sguardo triste. Non parlavano una parola d'italiano: Janssen sapeva qualcosa di inglese e la nonna parlava soltanto un dialetto filippino. Strappammo a Janssen il primo sorriso con un piccolo regalo: una nave che galleggiava in un secchio trovato nella stanza dell'ospedale. Lo andavamo a trovare ogni settimana e con la zia cercammo di capire come insegnargli il catechismo. Le prime lezioni furono in inglese, con alcuni libri illustrati. Janssen, però, da bambino intelligente, riuscì ben presto a imparare l'italiano dai medici, dalle infermiere e dai volontari dell'onlus che lo seguiva. Poco dopo lo venne a trovare una sua zia, suora, che abita a Roma e che ci aiutò molto nella comunicazione con Janssen e la nonna. Intanto altri cinque ragazzi si aggiunsero alla squadra di catechisti: pure loro rimasero colpiti dalla semplicità di Janssen, che malgrado i dolori e le sofferenze (spesso aveva la febbre, mal di testa, mal di pancia, vomitava, ecc.), sorrideva e ci ringraziava per il nostro piccolo aiuto. Alle volte piangeva, ma quando seppe che Gesù era morto sulla Croce e voleva bene a tutti, specialmente ai malati, riprese a sorridere. Aveva capito bene!

Sin dall'inizio fummo convinti che invece di essere noi ad aiutarlo, in realtà era lui ad aiutare noi. Quando tornavamo da queste visite eravamo pieni di gioia e di pace.

Siete riusciti ad accompagnare Janssen fino alla sua Prima Comunione?

Nell'arco di circa otto mesi, Janssen imparò abbastanza bene le nozioni di basi per poter ricevere l'Eucaristia. Il parroco parlò con lui per accertarsi che fosse pronto e, dopo il colloquio, il sacerdote ci disse che era rimasto toccato dalla profondità spirituale di Janssen, nonostante fosse un bambino così piccolo.

Janssen compì nove anni l'11 marzo 2012. Qualche settimana prima lo avevamo accompagnato con la nonna a Villa Tevere, affinché potessero pregare nei luoghi dove riposano i resti mortali di san Josemaría e del beato Álvaro. Janssen usava sempre delle stampelle per camminare. A volte si faceva portare in braccia. Era esile e pesava ben poco, consumato com'era dalla malattia. Tutti chiedevamo un miracolo. Ricevette la Prima Comunione la domenica 20 maggio 2012 in parrocchia, assieme ad altri bambini della sua età. Janssen era costretto sulla sedia a rotelle. Lo si vedeva contento e commosso. Quel giorno, dopo la santa Messa, organizzammo per lui una festa.

E dopo? Come stava Janssen?

A luglio (pochi giorni dopo la promulgazione del Decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio Álvaro del Portillo) ci dissero che le ultime radiografie fatte a Janssen non mostravano segni di metastasi. Era qualcosa di inspiegabile. I medici erano sbalorditi e fecero ripetere le lastre per ben due volte. Non si rilevava nessuna traccia del tumore, tranne una piccola macchia nell'anca. Si ricorse alla radioterapia per farla sparire, ma purtroppo quella macchia non sparì. Dal punto di vista medico, non si poteva fare di più; Janssen aveva ricevuto una dose molto alta di radiazioni (il massimo consentito) e continuare sarebbe stato solo dannoso. I medici dicevano che se la macchia non fosse sparita prima o poi si sarebbe potuto ripresentare il tumore, ma che nello stesso tempo non potevano più fare altro in quel momento. Nei primi giorni di dicembre 2012, dopo la celebrazione di una Messa di “ringraziamento" e “petizione" nella cripta della chiesa di santa Maria della Pace, dove è sepolto don Álvaro, Janssen e sua nonna tornarono nelle Filippine.

A Natale chiamammo Janssen con Skype e riuscimmo a parlare con la zia suora, che si era recata nelle Filippine durante le vacanze natalizie. Janssen era stato appena ricoverato con febbre e la sua salute era peggiorata in modo repentino. Da allora non potemmo sentirlo più. Il 22 febbraio 2013 ricevemmo un sms della zia suora: «Janssen è andato in Cielo. Pregate».

Rimanemmo tutti colpiti. Dopo tanto adoperarsi e pregare, speravamo in un miracolo. Il primo pensiero fu di sconforto e delusione. Ma subito dopo cominciammo a capire che Dio, tramite Janssen, aveva cambiato le nostre vite; c'erano stati veri miracoli spirituali tra i ragazzi che avevano frequentato Janssen. La sua presenza è rimasta, durevole, nei nostri cuori. E adesso siamo persuasi che, assieme a don Álvaro, abbiamo in Cielo un piccolo angelo che ci protegge e ci aspetta, sempre sorridente.