Pompieri: prestare ogni genere di servizio

Il lavoro di Rogelio Orozco, a Zapopan, in Messico, lo costringe a convivere a stretto contatto con il dolore; eppure, egli spiega che i pompieri lavorano per la vita. Inoltre, al centro della sua professione c’è il servizio degli altri, anche se ciò ogni tanto vuol dire “soltanto” catturare un topo o far scendere un gatto da un albero.

Come hai scoperto che volevi diventare un pompiere?

Fin da bambino ero attratto dai pompieri e dai medici. Quando ho terminato le elementari, ed è arrivato il momento di prendere una decisione, ho scelto di abbracciare la carriera di pompiere. Ma a un dato momento mi sono preoccupato un poco perché l'ambiente di caserma suole essere duro, faticoso. Mi sono anche chiesto se non fosse il caso di lasciare il corpo dei pompieri, ma un sacerdote dell'Opus Dei mi ha spiegato che la migliore decisione da prendere era decidere liberamente. E liberamente ho scelto di rimanere.

Vi chiamano soltanto per spegnere incendi?

Ci chiamano per qualunque cosa possa mettere in pericolo la sicurezza della gente o per fare dei lavoretti che considerano difficili, come sterminare le api, per esempio, che non rappresenta un rischio immediato, ma che considerano tale, e allora chiamano noi per provvedere.

Sappiamo che il servizio è considerato buono quando risolviamo il problema. Ma non sempre ci riusciamo, vale a dire che non sempre possiamo salvare le persone o recuperare i loro beni; però noi non ci diamo mai per vinti.

Come riesci a conciliare il lavoro di pompiere con l'Opus Dei?

Non è facile: la caserma ha una serie di regole, non c'è molta intimità, ossia, non ci sono molte occasioni per stare a tu per tu con Dio; e allora bisogna ingegnarsi per trovarle. Dio è sempre presente nel mio lavoro: quando sto aiutando una persona, quando sto spegnendo un incendio o sto scrivendo il rapporto su un servizio già fatto, so che Dio mi sta vedendo e vuole che faccia bene ogni cosa. Però vi sono momenti nei quali vorrei fare come gli innamorati, vale a dire, vorrei disporre di qualche minuto per dirgli quello che sento o quello che mi è mancato. Noi pompieri stiamo sempre insieme, e allora certe volte è difficile trovare questi momenti.

Che cosa hanno pensato i tuoi compagni quando hai deciso di dare questo nuovo andamento al tuo lavoro, incontrandoti con Dio?

Quando io ho cominciato a partecipare ai mezzi di formazione in un Centro dell'Opus Dei, i miei compagni hanno notato in me un cambiamento; alcuni mi domandavano anche se avevo cambiato religione, perché non succede spesso che in una caserma l'amore di Dio venga espresso apertamente. Si meravigliavano quando dicevo loro: “Vado a recitare il Rosario". Però con il tempo si sono abituati all'idea che io avessi bisogno di rimanere solo per alcuni momenti. Addirittura, alcuni compagni sono rimasti con me per fare alcune pratiche di pietà.

Come vivi lo spirito di servizio in una giornata durante la quale non si presentano emergenze?

Quando non ci sono incendi o servizi da pompiere, cerco di servire gli altri scegliendo di fare i lavori più utili. Per esempio, mi metto a pulire i bagni, perché è un servizio in quanto in caserma tutti noi li usiamo. Mi offro anche di pulire la sala da pranzo o di preparare il pranzo perché, fra i lavori interni della caserma, sono quelli in cui si può prestare il maggior servizio per gli altri. E lo fai bene perché è sempre confortevole stare in una cucina o in una sala da pranzo pulite.

Come reagisce la gente quando si accorge che sei dell'Opus Dei?

Alcune persone che non conoscono l'Opus Dei pensano che è una istituzione segreta di persone ricche. A volte certe persone, quando mi vedono con un'immaginetta di san Josemaría o perché esce fuori un commento sull'Opera, e non sanno che sono soprannumerario, si meravigliano perché non sono ricco, né potente, né segreto. Allora approfitto di queste situazioni per dare loro in prestito qualche libro o per spiegare la vita di san Josemaría.