Santificare il lavoro. Che cosa significa?

A Roma un congresso si è dedicato a esaminare il significato del lavoro a 500 anni dalla Riforma protestante. Riportiamo l'intervista di Miriam Díaz Bosch a Javier López Díaz, professore di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce, pubblicata su "Aleteia".

Javier López Díaz, professore di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce, è l’organizzatore di un congresso che si è svolto a Roma a partire da giovedì 19 ottobre. Gli abbiamo posto alcune domande intorno all’etica protestante e al lavoro, tenuto conto della concezione dell’Opus Dei sulla “santificazione del lavoro” e delle differenze tra la concezione cattolica e quella protestante riguardo alla vita lavorativa.

Il lavoro nobilita e santifica. È una “invenzione” dell’Opus Dei che si è trasferita a tutta la Chiesa?

È nella Bibbia. Gesù era un artigiano (Mc 6, 3). San Paolo scrive: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi (2 Ts 3, 10) ed egli stesso lavorava come fabbricante di tende (At 18, 3). I Padri della Chiesa parlano parecchio del lavoro; per esempio, san Giovanni Crisostomo. È successo che per secoli si è dimenticato che il lavoro può diventare preghiera. Santificare il lavoro: questo predica san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei. Naturalmente, il suo insegnamento ha influito sulla vita della Chiesa.

È successo che per secoli si è dimenticato che il lavoro può diventare preghiera. Santificare il lavoro: questo predica san Josemaría Escrivá

Il Catechismo, raccogliendo la dottrina del Concilio Vaticano II, dice che “il lavoro può essere un mezzo di santificazione” (n. 2427), ed è ciò che san Josemaría predicava già molti anni prima. Lo Spirito Santo si serve dei santi per arricchire la vita della Chiesa.

L’etica protestante è molto legata al lavoro. Perché?

Questo lo dice Weber. Alcuni sono d’accordo, altri studiosi lo hanno criticato fortemente. Comunque, Lutero affermava che il lavoro è una vocazione dell’uomo, perché così si legge nella Bibbia. Dio creò l’uomo ““perché lavorasse””, afferma la Genesi (2, 15).

È necessario mettere in pratica le virtù impregnate di carità, e questo richiede pazienza, servizio agli altri, amabilità, dedicazione alla famiglia...

Per questo è una parte importante dell’etica protestante. Però l’etica cristiana nel lavoro non si riduce a compiere il dovere di lavorare e a seguire certe regole. È necessario mettere in pratica le virtù impregnate di carità, e questo richiede pazienza, servizio agli altri, amabilità, dedicazione alla famiglia... Questo è stato messo in evidenza da Papa Francesco in un memorabile capitolo del documento intitolato “Amoris laetitia”, il gaudio dell’amore. L’etica protestante non gli dà la medesima importanza.

Javier López Díaz, professore di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce (Roma).

In che cosa differiscono il marxismo e la sua concezione del lavoro e la concezione cristiana?

Secondo la concezione cristiana, il lavoro è ordinato al bene dell’uomo, di ogni persona (cfr. Gaudium et spes, 35). Nel marxismo è più o meno il contrario. La persona conta poco; quello che conta è edificare una società futura senza classi, dove la persona e il suo lavoro sono soltanto strumenti. Per un cristiano la persona è un fine, non un mezzo che si possa strumentalizzare per ottenere altro.

Vi sono differenze notevoli tra la concezione del lavoro in chiave cattolica e in chiave protestante?

Una differenza rilevante è che per un cattolico il lavoro ben fatto si può santificare, trasformare in preghiera, e allora fa crescere in santità. Per un luterano, le opere, per quanto siano buone, non santificano chi le compie.

Una differenza rilevante è che per un cattolico il lavoro ben fatto si può santificare, trasformare in preghiera, e allora fa crescere in santità

San Josemaría parlava di “santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare con il lavoro”. È chiaro che chi santifica è Dio, ma il cristiano può cooperare. A me sembra che la grandezza del lavoro si avverta qui più che nella concezione di Lutero.

Il lavoro rende liberi, era la sinistra scritta sul cancello di Auschwitz. E alcuni di coloro che l’avevano scritta erano di origine cristiana.

I nazisti non avevano nulla di cristiano. In ciò che si riferisce alla religione, erano rinnegatori della fede dei loro avi. La scritta sul cancello di Auschwitz era una profanazione di due sante parole: lavoro e libertà. I nazisti non trattavano le persone come persone, non valorizzavano il loro lavoro né volevano la loro libertà.

In questo mondo retto dal capitalismo selvaggio il lavoro è stato sovradimensionato? Molte persone non hanno neppure un giorno di riposo.

Alcuni non hanno neppure un giorno di riposo e altri non hanno lavoro. Alcuni vengono sfruttati; altri, emarginati. In entrambi i casi non vengono trattati come persone, come figli di Dio. Quando si voltano le spalle a Dio, si voltano anche all’uomo. Il Concilio Vaticano II dice che “l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa” (Gaudium et spes, 36).

Dice nientemeno che il lavoro è un prolungamento del potere creatore di Dio

Che cosa ci dice la Bibbia e soprattutto Gesù sul lavoro?

Dice nientemeno che il lavoro è un prolungamento del potere creatore di Dio, il quale ha creato il mondo e ha dato all’uomo l’incarico di perfezionarlo. Le sembra poco? Le cose si sono distorte con il peccato, ma lo stesso Dio fatto uomo, Gesù Cristo, ha dedicato la maggior parte della sua vita a lavorare. “Così ha santificato il lavoro e gli ha conferito un peculiare valore per la nostra maturazione” (Papa Francesco, Laudato si’, 98). E così ci ha redenti. A Nazaret “veniva a compiere la Redenzione del genere umano”. Perciò “l’uomo non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore” (È Gesù che passa, 14 e 48).

Per leggere l'intervista in spagnolo pubblicata su Aleteia clicca qui