​La tenerezza di Dio (II): “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”: la Legge di Dio e la misericordia

Chi è il mio prossimo? Il Signore risponde a questa domanda del dottore della Legge con la parabola del buon samaritano. Apre così davanti a lui e a noi, il panorama delle beatitudini, che mostrano quanto sia profonda la Legge di Dio. Nuovo articolo sulla misericordia.

Un giorno un dottore della Legge si avvicinò per domandare al Signore che cosa doveva fare per ottenere la vita eterna. In realtà voleva mettere alla prova l’ortodossia di quel Rabbí di Nazaret, del quale, in verità, non sapeva che cosa pensare[1]. Però il Signore non si infastidisce; accetta il dialogo e a sua volta gli domanda: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?»[2]. Il dottore risponde con alcune parole dello Shemá Israel, Ascolta, Israele, che ogni israelita imparava fin da bambino: «Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze»[3]; poi aggiunge, citando il libro del Levitico: «amerai il tuo prossimo come te stesso»[4]. In queste due formule si sintetizza tutta la Legge e i Profeti[5], tanto che il Signore dice: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai»[6]. Il dottore non si aspettava che la sua domanda si risolvesse con questa semplicità disarmante. «Volendo giustificarsi»[7], insiste allora con una nuova questione: «E chi è il mio prossimo?»[8]. Il Signore, che vuole conquistare la fiducia del suo interlocutore non si dà per vinto; e allora gli parla al cuore – a lui e agli uomini e alle donne di tutti i tempi – con un linguaggio a un tempo franco e solenne: è la parabola del buon samaritano.

“Farsi prossimo”

Nel povero uomo depredato sulla strada che da Gerusalemme porta a Gerico, i Padri della Chiesa vedevano Adamo, e con lui – perché Adamo significa esattamente “uomo” – l’umanità maltrattata dal suo stesso peccato, dal nostro stesso peccato. Nel buon samaritano riconoscevano Gesù, che viene con pazienza a curarci, dopo che erano passati oltre coloro che in realtà non erano capaci di portare nel mondo la salvezza. Egli, invece, può e vuole. Così un’antica e venerabile omelia immagina l’incontro di Gesù con Adamo – che è anche l’incontro con ciascuno di noi – durante la sua discesa agli inferi: «Io sono il tuo Dio, che per te e per tutti quelli che da te nasceranno mi sono fatto tuo figlio; ora ti dico che ho il potere di annunciare a quanti sono incatenati: “Uscite”, e a quanti si trovano nelle tenebre: “Illuminatevi”, e a quanti dormono: “Alzatevi”»[9]. Assieme a Gesù, sono chiamati a portare la sua salvezza – a essere buoni samaritani – i suoi unti: i cristiani. Come il loro Signore, anch’essi debbono fasciare le ferite degli uomini e versarvi olio e vino[10]: debbono essere buoni albergatori fino al ritorno del Samaritano: «Questa locanda, se te ne rendi conto, è la Chiesa. Ora è una locanda, perché la nostra vita consiste nel camminare; sarà una casa che non abbandoneremo mai una volta che saremo arrivati sani al regno dei cieli. Frattanto, accettiamo volentieri di essere curati nella locanda»[11].

Questo è il panorama che il Signore vuole mostrare al dottore della Legge, e con lui a tutti i cristiani e a tutti gli uomini. Non ha parole di rimprovero per le loro ristrettezze mentali, ma prima li fa riflettere e poi sognare: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso»[12]. Come succede spesso nei Vangeli, è bene non farsi ingannare dalla sinteticità del racconto. La risposta alla domanda di Gesù – «Chi è stato il suo prossimo?» – è certamente ovvia: «Chi ha avuto compassione di lui»[13]. Non è evidente, invece, perché il Signore fa questa domanda, che fa cambiare opinione al dottore della Legge. «Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro»[14]. Davanti a un atteggiamento ristretto, che delimita il campo d’azione nel fare il bene – valutando, per esempio, se gli altri appartengono al mio gruppo, o se poi mi restituiranno il favore –, il Signore risponde invitando a elevare lo sguardo, a farci noi stessi prossimo.

In tal modo la parola prossimo, oltre a indicare un tipo di persone che meriterebbero la mia attenzione, diventa una qualità del cuore. Pedagogia divina, che provoca la domanda: a chi fare il bene? E così la trasforma: ciò che era materia di discussione e di casistica nelle scuole rabbiniche – dove stava il limite, fino a che punto dovrei prendermi cura degli altri – si trasforma in una sfida audace. Il cristiano – diceva Giovanni Paolo II – «non s’interroga su chi deve amare, perché domandarsi “chi è il mio prossimo” è già porre limiti e condizioni [...]. La domanda legittima non è “chi è il mio prossimo?”, ma “a chi debbo io farmi prossimo?”. E la risposta è: “Chiunque è nel bisogno, anche se mi è sconosciuto, diventa per me prossimo da aiutare”»[15]. È la prossimità[16] un neologismo di Papa Francesco, che ci ricorda la nostra vocazione a essere prossimi al nostro prossimo, a essere «isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza»[17].

Il cammino verso la pienezza della Legge

Si potrebbe dire che questo dialogo con il dottore della Legge sintetizza il cammino che porta dagli insegnamenti morali dell’Antico Testamento fino alla pienezza della vita morale in Cristo. La verità è che, come ricorda san Paolo, la Legge del popolo eletto è buona e santa[18], ma non è quella definitiva. Era ordinata, soprattutto, a preparare i cuori all’arrivo di nostro Signore.

La domanda del fariseo – «Qual è il più grande comandamento della Legge?»[19] – sembra rispecchiare una sorta di angoscia davanti alla quantità di precetti che, in base a una concezione legalista, erano stati man mano introdotti nella vita religiosa degli israeliti. In un altro momento Gesù si lamenta dei dottori della Legge «che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito»[20]. Certe volte, inoltre, le tradizioni umane erano diventate una scusa per non dover sottostare a un comando divino: così, il Signore denuncia l’atteggiamento di coloro che prendevano a pretesto le offerte da fare al Tempio per non aiutare i propri genitori[21].

Per questo Gesù guarda a ciò che è fondamentale: l’Amore di Dio e del prossimo. Con ciò si adempie ciò che Egli stesso dice: di non essere venuto «ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento»[22]. L’Alleanza che Dio aveva stabilito con il suo Popolo includeva alcune prescrizioni che non avevano il significato originale di imporgli pesi ma, esattamente il contrario, di condurli per sentieri di libertà: «Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio [...], perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso»[23].

La terra promessa agli ebrei è una figura della terra interiore nella quale gli uomini e le donne di tutti i tempi possiamo entrare, se viviamo nel loro autentico senso i comandamenti del Signore. Sono una porta per arrivare alla comunione con Dio, perché qualunque altra terra al di fuori di essa risulta inospitale: «Quel che occorre per raggiungere la felicità non è una vita comoda, ma un cuore innamorato»[24].

Se i precetti rituali e legali del Popolo di Israele cessarono con la venuta di Cristo, i dieci comandamenti, conosciuti anche come il Decalogo, sono perenni: riuniscono i principi fondamentali per poter amare Dio – ponendolo al di sopra di tutto, rispettando il suo santo nome, dedicandogli i giorni di festa, come facciamo noi cristiani la domenica –; e per poter amare gli altri – stimolando l’affetto e la riverenza verso i genitori, proteggendo la vita, la purezza di cuore, ecc. – Quante generazioni di israeliti hanno meditato la verità e la sollecitudine di Padre che contengono queste dieci parole! «Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti, sono essi la gioia del mio cuore»[25], una dimostrazione della misericordia divina, che non vuole che ci disorientiamo, ma vuole che abbiamo una vita piena. A volte il mondo può rivelarsi contrario ai comandamenti, come se fossero imposizioni sorpassate, caratteristiche di uno stadio infantile dell’umanità; però non mancano esempi di come si sgretolano le società e le persone quando credono di poterli ignorare. Le dieci parole del Signore sono le costanti dell’universo interiore dell’uomo; se si alterano, il loro cuore si deturpa.

Siate figli di vostro Padre

Il Decalogo è stato per così dire inglobato nella nuova Legge che Cristo ha instaurato nel salvarci, quando ha dato la sua vita sulla Croce. La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo data mediante la fede in Cristo[26]. Ora, dunque, non abbiamo soltanto un orizzonte morale al quale aspirare: si tratta di vivere in Gesù, di somigliare sempre più a Lui, lasciando che lo Spirito Santo ci trasformi, per compiere così i suoi comandamenti.

Come si può diventare più simili a Cristo? Dove possiamo vedere il suo modo di essere? Dice il Catechismo che «le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità»[27]. Negli insegnamenti raccolti nei Vangeli vediamo il ritratto di nostro Signore, il suo volto che rivela l’amore compassionevole del Padre verso tutti gli uomini. Essi riprendono le promesse fatte al popolo eletto, ma le perfezionano ordinandole non più al godimento della terra, ma al Regno dei Cieli[28].

Nel Vangelo di Matteo, le prime quattro beatitudini si riferiscono a un atteggiamento o modo di essere centrato nelle parole di Gesù[29]: «Beati i poveri di spirito», «gli afflitti», «i miti», «quelli che hanno fame e sete della giustizia». Invitano a confidare completamente in Dio e non nei nostri mezzi umani, ad affrontare con senso cristiano le sofferenze, a essere pazienti, giorno dopo giorno. A queste beatitudini se ne aggiungono altre che mettono l’accento sull’azione: «Beati i misericordiosi», «i puri di cuore», «gli operatori di pace», e altre ancora che avvertono che per seguire Gesù dobbiamo sopportare alcune contrarietà[30], sempre lietamente, perché«la felicità del Cielo è per coloro che sanno essere felici sulla terra»[31].

Non c’è dubbio che le beatitudini manifestino la misericordia di Dio, che è impegnato a dare una felicità senza limiti a coloro che lo seguono: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»[32]. Non sono, tuttavia, una serie di massime per immaginare un utopistico mondo migliore che qualcuno si occuperà di rendere possibile, o per consolarsi falsamente delle difficoltà del momento. Per questo le beatitudini sono chiamate anche le esigenze di Dio al cuore di ogni uomo, che spingono a impegnarsi a lavorare per il bene e la giustizia già su questa terra.

Meditare spesso sulla beatitudini, anche nell’orazione personale, aiuta a sapere come applicarle nella vita di ogni giorno. Per esempio, la mitezza assai spesso si concretizza in quel «sorriso amabile per colui che ti annoia; quel silenzio davanti a un’accusa ingiusta; la benevola conversazione con i seccatori e gli importuni; quel non dare importanza, quotidianamente, ai mille particolari fastidiosi e impertinenti delle persone che vivono con te...»[33].

Nello stesso tempo, chi fa in modo di vivere secondo lo spirito delle beatitudini va inserendo nella propria personalità alcuni atteggiamenti e modi di giudicare le cose che lo aiutano a osservare i comandamenti. La purezza di cuore gli permette di vedere l’immagine di Dio in ogni persona, considerandola degna di rispetto e non come un oggetto per soddisfare ambigui desideri. Essere operatori di pace ci aiuta a vivere come figli di Dio e a riconoscere gli altri come suoi figli, seguendo la «via migliore di tutte»[34] della carità, che «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»[35], trasformando le offese in occasione di amare e pregare per coloro che si comportano male[36]. In sostanza, modellare il nostro cuore in base ai contorni tracciati dalle beatitudini trasforma in realtà l’ideale che Gesù ci propone: «siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro»[37]. Ci trasformiamo in portatori dell’amore di Dio, impariamo a vedere negli altri quel prossimo che ha bisogno del nostro aiuto; siamo in Cristo quel buon samaritano che sa farsi guidare dalla misericordia per compiere pienamente la legge della carità. Allora il nostro cuore si ingrandisce, come accadde alla Santissima Vergine.

Carlos Ayxelá – Rodolfo Valdés


[1] Cfr. Lc 10, 25.

[2] Lc 10, 26.

[3] Dt 6, 5.

[4] Lv 19, 18.

[5] cfr. Mt 22, 40.

[6] Lc 10, 28.

[7] Lc 10, 29.

[8] Ibid.

[9] Omelia sul grande e santo Sabato (PG 43, 462).

[10]Lc 10, 34.

[11] Sant’Agostino, Sermone 131, 6.

[12]Lc 10, 37.

[13]Ibid.

[14] Papa Francesco, Messaggio, 24-I-2014.

[15] Giovanni Paolo II, Messaggio, 2-II-1999.

[16] Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii Gaudium (24-XI-2013), n. 169.

[17] Papa Francesco, Messaggio, 4-X-2014.

[18] Cfr. Rm 7, 12.

[19]Mt 22, 36.

[20]Lc 11, 46.

[21]Mt 15, 3-6.

[22]Mt 5, 17.

[23]Dt 30, 15-18.

[24] San Josemaría, Solco, n. 795.

[25]Sal 118 (119), 111.

[26] Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, I-II, q. 106, a. 1, c. e ad 2, cit. in San Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis Splendor, 6-VIII-1993, n. 24.

[27]Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1717.

[28] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1716.

[29] Cfr. Mt 5, 3-12.

[30] Cfr. Mt 5, 10-12.

[31] San Josemaría, Forgia, n. 1005.

[32]Mt 5, 12.

[33] San Josemaría, Cammino, n. 173.

[34]1 Cor 12, 31.

[35]1 Cor 13, 7.

[36] Cfr. Mt 5, 44-45.

[37]Lc 6, 36.