La musica che viene da Dio: canto e musica nella liturgia

La musica ha sempre occupato un posto centrale nella liturgia cristiana. Come il silenzio, è un linguaggio di cui abbiamo bisogno per entrare in sintonia con la bellezza di Dio, per scoprire la sua presenza. Non c’è fretta, non ci sono calcoli che tengono, come ogni volta che c’è di mezzo l’amore: cantiamo perché vogliamo dedicare tempo a Dio.

«Cantemus Domino, gloriose enim magnificatus est! Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato»i. Senza soluzione di continuità la liturgia della veglia pasquale unisce questo canto con il racconto del passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso: la musica, piena di gioia, nasce spontanea nel toccare con mano la vicinanza di Dio. Il portento delle acque divise diventò, per il Popolo eletto, l’emblema della vicinanza di Dio: i salmi la riecheggiano assai spessoii. Nel tempo della Chiesa, questo evento ci parla del battesimo, della Croce, del cielo… Ci parla della nostra vita e della Vita che Dio ha preparato per noi sull’altra sponda, che «non è un semplice abbellimento di questa vita attuale: essa supera la nostra immaginazione, perché Dio ci stupisce continuamente con il suo amore e con la sua misericordia»iii.

Davanti «al Dio delle sorprese»iv, un Dio che sempre fa nuove tutte le cosev, «le parole vengono meno, la lingua non riesce ad esprimersi; anche l’intelletto si acquieta. Non si ragiona, si guarda! E l’anima erompe ancora una volta in un cantico nuovo, perché si sente e si sa ricambiata dallo sguardo amoroso di Dio, in ogni istante della giornata»vi. Davanti al Dio che ci sorprende con le sue novità, sorge spontanea la lode e l’adorazione: il canto e il silenzio. L’uno e l’altro sono profondamente imparentati, perché esprimono ciò che le semplici parole non riescono a dire. Perciò la liturgia li riserva per i momenti più sublimi. «La Chiesa canta – è stato detto – perché il parlare non sarebbe sufficiente alla sua preghiera. – Tu, cristiano – e cristiano scelto –, devi imparare a cantare liturgicamente»vii.

Un cantico nuovo

Umanamente irrisolvibile. Così era la situazione del popolo eletto, accerchiato tra il Mar Rosso e l’esercito egiziano. Davanti, la barriera del mare; alle spalle, la forza belligerante delle armi. «Il nemico aveva detto: “Inseguirò, raggiungerò,spartirò il bottino, se ne sazierà la mia brama; sfodererò la spada, li conquisterà la mia mano”»viii. Così tante volte si viene a trovare anche la Chiesa, assediata da quanti vorrebbero cancellarla dalla faccia della terra, o almeno svuotarla del suo carattere soprannaturale.

Però Dio è con noi, come era con gli israeliti. A fronte della impossibilità umana, brilla la sua gloria in contrasto con la potenza del Faraone e dei faraoni della storia: in modo del tutto inatteso, il mare si ritrae e ci apre il cammino; poi si chiude di nuovo davanti al nemico. «Soffiasti con il tuo alito: il mare li coprì, sprofondarono come piombo in acque profonde»ix.

La narrazione sacra non svela i pensieri di Israele, mentre attraversavano il mare lungo un percorso asciutto, con muraglie di acqua a destra e a sinistra. Soltanto alla fine la Bibbia volge lo sguardo verso gli israeliti per mostrare la loro reazione. «Il popolo temette il Signore e credette in Lui e nel suo servo Mosè. Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: “Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato”»x: timore e rinnovata fede in Dio, che trabocca nel primo canto nuovoxi del quale la Scrittura dà notizia.

Non conosciamo quella musica. Nessuno ha potuto conservarla in qualche modo e neppure la tradizione orale l’ha fatta arrivare fino a noi. Però doveva essere sincera: sgorgava da una profonda gratitudine, esprimeva un profondo senso di adorazione. Dovette essere impressionante: ogni testimone esterno avrebbe potuto toccare con la mano la presenza di Dio in quel canto, come coloro che lo intonarono.

Dopo questo episodio, gli israeliti incontreranno altre difficoltà nel deserto. Prima di tutto, le acque amare di Mara, che diventavano dolci in virtù del legno, figura della Crocexii; poi l’asprezza del deserto del Sin, che il Signore attenua con la manna e le quaglie; le acque di Massa e di Meriba… Dio riusciva sempre a porre rimedio alle difficoltà e il popolo riprendeva a cantare. La speranza era quella di arrivare al momento in cui tutto sarebbe stato un canto nuovo.

La venuta di Cristo ha inaugurato la salvezza definitiva: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello»xiii. Allora si è cominciato a intonare il canto nuovo, che non finirà mai più. Nello stesso tempo, tuttavia, aspettiamo il momento in cui esso sarà pieno, come ce lo presenta l’Apocalissexiv. In qualche modo la Chiesa è già arrivata nella terra promessa, ma continua il suo pellegrinaggio per il deserto: perciò nella liturgia parla di se stessa come «peregrinans in terra»xv. In realtà, “nuovo”, nel linguaggio biblico, «non indica tanto la novità esteriore delle parole, quanto la pienezza finale che contraddistingue la speranza. Così dunque si canta la meta della storia, alla fine della quale la voce del male tacerà […]. Comunque, dopo questo aspetto negativo si presenta, con uno spazio molto maggiore, la dimensione positiva, quella del nuovo mondo felice che sta per arrivare»xvi.

La musica del cielo

Quando l’Agnello ricevette il libro «i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono […], avendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto nuovo»xvii. La Sacra Scrittura, nella sua sobrietà, non dimentica di menzionare il canto in cielo. È logico che lo faccia, perché «Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso»xviii. L’immaginazione può suggerirci la musica che accompagnò la Madonna quando la Trinità Beatissima la ricevette in cielo. Eserciti di angeli aspettano la loro Regina che sta per arrivare in corpo e anima. La musica è solenne; trabocca di affetto, di gioia, di un delicato equilibrio della bellezza. La Madonna appare, risplendente, e il Figlio, che ha introdotto l’umanità in seno alla Trinità, riceve sua Madre.

La liturgia terrena, anche quando non riusciamo a coglierne tutta la bellezza, forse per le circostanze esterne o per la situazione in cui ci troviamo, è «il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. È il culto del cielo aperto»xix. Per questo i prefazi della Messa terminano sempre invitando tutti a cantare il Sanctus insieme agli angeli e ai santi. Nel Sanctus la terra e il cielo si uniscono: «ci associamo pieni di gratitudine a questo canto di tutti i secoli, che unisce cielo e terra, angeli e uomini»xx. «Io acclamo ed esulto con gli angeli; e non mi riesce difficile, perché so di essere circondato da loro, quando celebro la Santa Messa. Essi adorano la Trinità»xxi.

È vero, nel racconto dell’annuncio dell’angelo ai pastori, «Luca non ha detto che gli angeli hanno cantato. Egli scrive molto sobriamente: l’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli…” (Lc 2,13 ss.). Ma da sempre gli uomini sapevano che il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini; che proprio in quella notte del lieto messaggio esso è stato un canto in cui la gloria sublime di Dio ha brillato. Così questo canto degli angeli è stato percepito fin dall’inizio come musica proveniente da Dio, anzi, come invito a unirsi nel canto, nella gioia del cuore per l’essere amati da Dio»xxii.

Questo è il quadro nel quale si iscrive la ricca creatività musicale della liturgia, che cominciò a svilupparsi con la preghiera di Israele: lo sforzo di entrare in sintonia con la bellezza di Dio, per affacciarci sul cielo. «La liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo metterci lì, nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio. La liturgia è proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero»xxiii. San Josemaría scriveva, in questo stesso tono, che «durante la Santa Messa gli orologi dovrebbero fermarsi»xxiv: davanti a Dio non c’è posto per una impostazione semplicemente strumentale, pragmatica. «L’apparire della bellezza, del bello, ci rende lieti senza che dobbiamo interrogarci sulla sua utilità. La gloria di Dio, dalla quale proviene ogni bellezza, fa esplodere in noi lo stupore e la gioia»xxv.

Alla portata di tutti

La partecipazione di ciascuno al canto liturgico manifesta anche l’affetto, il «senso del mistero»xxvi che ci induce a mettere tra parentesi i criteri di efficacia propri di altri contesti. Senza disattendere le circostanze professionali e familiari di tutti, spesso si può dare alla celebrazione liturgica quel tocco che aiuta ad adorare Dio in modo sensibile. Forse in questo andremo controcorrente rispetto a una cultura pragmatica della quale anche noi siamo figli; ma anche così, dando alla liturgia il suo tempo, con il semplice splendore della nostra fede portiamo il mondo a Dio: lo facciamo presente nella movimentata vita moderna, che non sa avere tempo per Lui. «Non è strano che molti cristiani, posati e persino solenni nella vita di relazione (non hanno fretta), nelle loro poco attive attività professionali, a tavola, nel riposo (neanche in ciò hanno fretta), si sentano incalzati dalla fretta e incalzino il Sacerdote, nella loro ansia di abbreviare, di affrettare il tempo dedicato al Sacrificio Santissimo dell’Altare?»xxvii. La fede «è amore e perciò crea poesia e crea musica»xxviii: se la nostra fede è viva, sapremo anche paragonarci in questo ai primi cristiani, a quelli che san Paolo incoraggiava a cantare e a celebrare il Signore con tutto il cuorexxix.

La musica liturgica, dunque, non è una questione di sentimentalismo o di estetismo: è una questione d’amore, di voler «trattare il Signore con tenerezza di cuore»xxx, e non «in una maniera formale e arida, con una fede priva di vibrazione»xxxi. Così come sentiremmo la mancanza della musica in un momento di festa nella vita, è naturale voler dare questo rilievo alla liturgia. Alcune volte, nella celebrazione quotidiana, basterà un canto breve, di devozione: Adoro te devote, Ave Maris Stella, Rorate Coeli, ecc. Nelle feste, secondo le preferenze dei fedeli, la musica sarà più protagonista: si canteranno alcune parti della Messa – il Gloria, il Sanctus, ecc. –, magari facendosi accompagnare dall’organo.

Nel corso dei secoli la Chiesa ha accumulato una preziosa tradizione di musica sacra. La novità del culto cristiano favorì la ricerca di forme poetiche e musicali nuove che dimostravano come la preghiera s’innalzava a livelli inusitati. «Compete agli uomini cantare Salmi, ma cantare inni compete agli Angeli e a quelli che conducono una vita come quella degli Angeli»xxxii. Così, nella liturgia romana, il gregoriano si mette in evidenza come canto proprioxxxiii, con il quale possiamo pregare durante la celebrazione della Santa Messa: per esempio, il Messale Romano d’altare riporta le note per poter cantare il Per ipsum alla fine della preghiera eucaristica, così come altre preghiere.

Nel grande repertorio di musica sacra cristiana si trovano canti alla portata di tutte le sensibilità e capacità: dalle semplici melodie alle polifonie complesse. Vi sono anche canti di fattura più recente che, dalla propria identità culturale, sanno offrire musica al mistero di Dio. Sia i pezzi più tradizionali che quelli moderni si trovano nei libri pubblicati e destinati ai fedeli; è possibile anche compilare delle raccolte dei canti più adatti a ogni località.

Questo è un campo promettente anche per le persone con una maggiore preparazione musicale: l’impegno a dedicare la loro creatività per rendere più luminoso il culto li farà diventare più generosi anche con Dio, perché, nel dedicare questo tempo al Signore e agli altri, offrono il sacrificio di Abelexxxiv. In ogni caso, conviene ricordare almeno l’entusiasmo con cui uno prepara, per esempio, la festa del proprio compleanno; conviene imparare alcuni canti che fanno parte della cultura cristiana, ed esprimere così un’autentica sensibilità liturgica e favorire la preghiera. Nella liturgia stiamo con Dio, e a Dio piace che cantiamo, perché a volte parlare non basta.

Il linguaggio dell’adorazione

La musica, nella liturgia, non è un semplice accompagnamento o un ornamento; non è neppure l’interpretazione di un tema religioso che richiama l’attenzione su se stesso: nell’uno e nell’altro caso la musica fluirebbe parallelamente alla celebrazione, mentre, invece, dovrebbe essere una stessa cosa con essaxxxv. La vera musica liturgica è essa stessa preghiera, è essa stessa liturgia; non ci distrae, non si limita a darci una gioia sensibile o un piacere estetico: ci aiuta a raccoglierci, ci introduce nel mistero di Dio. Ci porta all’adorazione, che ha nel silenzio uno dei suoi linguaggi privilegiati: «Il silenzio – ci ricorda il Papa – è la nube che copre il mistero»xxxvi. Se la musica è di Dio, non entrerà in competizione con il silenzio: ci porterà verso il silenzio vero, quello del cuore.

Gli istanti di silenzio che la liturgia prevede – prima di iniziare la Messa, all’atto penitenziale, nei memento, alla consacrazione, ecc. – sono un invito a raccoglierci in adorazione. Ci preparano al momento della comunione, perché «per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale»xxxvii.

«Tu, io, adoriamo il Signore?», ci domanda il Papa, guidandoci verso il centro più intimo della liturgia, che sarà il nostro cielo. «Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte […]; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia»xxxviii.

Carlos Ayxelà

iEs 15, 1.

ii Cfr. Sal 65 (66): 77 (78): 105 (106); 135 (136).

iii Papa Francesco, Angelus, 10-XI-2013.

iv Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 20-I-2014.

v Cfr. Ap 21, 5.

vi San Josemaría, Amici di Dio, n. 307.

vii San Josemaría, Cammino, n. 523.

viiiEs 15, 9.

ixEs 15, 10.

xEs 14, 31 – 15, 1.

xi Cfr. Sal 32 (33); 39 (40); 95 (96); 97 (98); 143 (144). 149.

xii Cfr. Es 15, 22-25.

xiiiAp 7, 10.

xiv Ap 5, 9-10; 14, 3.

xv Messale Romano, Preghiera Eucaristica III.

xvi Benedetto XVI, Udienza, 26-I-2006. Cfr. Sal 143 (144).

xvii Ap 5, 8-9.

xviii Benedetto XVI, Omelia, 19-II-2012.

xix Benedetto XVI, Udienza, 3-X-2012.

xx Benedetto XVI, Omelia, 24-XII-2010.

xxi San Josemaría, È Gesù che passa, n. 89.

xxii Benedetto XVI, Omelia, 24-XII-2010.

xxiii Papa Francesco, Omelia, 10-II-2014.

xxiv San Josemaría, Forgia, n. 436.

xxv Benedetto XVI, Omelia, 24-XII-2010.

xxvi San Giovanni Paolo II, Enc. Ecclesia de Eucharistia, 17-IV-2003, n. 49.

xxvii San Josemaría, Cammino, n. 530.

xxviii Benedetto XVI, Udienza, 21-V-2008.

xxix Cfr. Ef 5, 19; Col 3, 17.

xxx San Josemaría, Amici di Dio, n. 167.

xxxi San Josemaría, Forgia, n. 930.

xxxii Origene, Sel. in psalmos, in Sal 119 (118), 71.

xxxiii Cfr. Conc. Vaticano II, Cost. Sacrosanctum concilium (4-XII-1963), n. 116.

xxxiv Cfr. Messale Romano, Preghiera Eucaristica I; cfr. Gn 4, 4.

xxxv Cfr. Conc. Vaticano II, Cost. Sacrosanctum concilium (4-XII-1963), n. 112.

xxxvi Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 20-XII-2014.

xxxvii Benedetto XVI, Omelia, 7-VI-2012.

xxxviii Papa Francesco, Omelia, 14-IV-2013.