Chiese domestiche, problemi universali (7): Come rimanere vicini ai propri figli quando crescono?

In questa serie di articoli condividiamo i consigli di genitori che rispondono a domande concrete su come vivere la fede in famiglia. La settima domanda alla quale cerchiamo di rispondere è: Come rimanere vicini ai propri figli quando crescono?

Domanda: come rimanere vicini ai propri figli quando crescono?

Da genitori ci sembra di essere sempre stati presenti nella vita di nostro figlio. Facciamo in modo di passare insieme ogni giorno del tempo dedicato solo a lui sin da quando è nato. Viviamo in una grande città, e la logistica è sempre complicata, ma questo non ci scoraggia. Adesso ha 13 anni e ci sembra che abbia sempre meno interesse a passare del tempo con noi, mentre preferisce lo smartphone e stare con amici di cui sappiamo poco. Sapevamo che sarebbe successo, ma abbiamo paura che la nostra influenza e autorità nei suoi confronti possa svanire, a lungo andare.

Risposta

Francesco e Cristina vivono a Napoli. Sono sposati e hanno due figli ancora piccoli, ma conoscono bene la realtà di ragazzi adolescenti e preadolescenti che subiscono l’influenza negativa di ambienti difficili, e dei genitori che non riescono a trasmettere ai figli la loro vicinanza. Infatti i due lavorano nell’ambito sociale e nella formazione di giovani da tanti anni e in diverse forme.

Cristina è assistente sociale e lavora con una cooperativa sociale del quartiere “Sanità” di Napoli, mentre Francesco per una fondazione che si occupa di formazione per famiglie con problemi economici. Su alcune dinamiche i due ritrovano dei punti in comune: “Riconosci subito se c’è una famiglia unita - spiega Francesco - ma in difficoltà economiche. Mentre si vede subito una famiglia che, oltre ai problemi economici, è anche disunita”.

Mentre Cristina ha sempre sognato di fare il lavoro che fa oggi, il percorso professionale di Francesco è stato più “tortuoso”. “Lavoravo in uno studio legale, - ricorda - ma dopo qualche tempo sentivo che non era la mia vocazione. Durante gli anni del liceo e all’università sono stato tutor di un club per famiglie promosso da genitori che si ispirano al messaggio di san Josemaría. Un’esperienza che mi ha dato tantissimo e grazie alla quale sono cresciuto umanamente. Grazie a Dio, proprio quando cominciavo ad avere dubbi sulla carriera da avvocato, mi è arrivata l’occasione di mettermi in gioco in questo nuovo progetto per famiglie, in un ambito molto diverso da quello dei club ma in cui la mia esperienza poteva essere utile”.

Un altro punto in comune nelle esperienze dei due è la mancanza del padre e la centralità della madre, che spesso si ritrova con il destino della famiglia sulle proprie spalle: “La grande assenza dei padri incide tantissimo sull’autostima dei ragazzi - afferma Francesco -, e accentua le fragilità già presenti nella preadolescenza. Per le ragazza questa mancanza di autostima diventa una vera e propria tragedia, spesso amplificata dalle dinamiche dei social media basate su like e condivisione, che le portano a sentirsi inadeguate al mondo”.

“Di solito l’attaccamento sregolato allo smartphone - spiega Cristina, che oggi è coordinatrice di un centro diurno polifunzionale per minori - è un sintomo, non un male in sé. I problemi veri sono la carenza di stimoli, di ideali e di modelli da seguire”.

“La dipendenza dal cellulare - sottolinea Francesco - è una piaga abbastanza diffusa tra i ragazzi che seguiamo. Alcuni stanno 12-13 ore davanti al cellulare. Anche per questa ragione quando iniziano le attività con noi, chiediamo di metterlo da parte”.

“I ragazzi si lasciano trascinare dall’ambiente - prosegue Francesco - quando sono poco calcolati dai genitori, anche senza essere formalmente abbandonati. E questa è una dinamica che riguarda tutte le provenienze sociali, non solo quelle considerate più a rischio”.

Se il pericolo di non coltivare la relazione con i figli riguarda tutti, come si può vincere questo problema? Come proteggerli? Ecco la proposta di Cristina: “Spesso i genitori si rassegnano al fatto che arrivati a tredici o quattordici anni i figli siano grandi. Ma in realtà il più delle volte non sono ancora capaci di gestire libertà e autonomia. I ragazzi hanno ancora bisogno di entrambi i genitori: la sfida è continuare ad accompagnarli, facendo di tutto per non perdere il tempo di qualità che si passa insieme”.

“Bisogna anche trasmettere ai ragazzi un sano materialismo - conclude Cristina -: fare bene ti è utile, perché ti fa stare bene. È sano cercare un tornaconto nella soddisfazione di aver cambiato in meglio il mondo. Anche questo si ottiene solo con l’esempio: tra pochi giorni un ragazzo di vent’anni che seguo da quando andava alle elementari farà l’esame per prendere il titolo di operatore per l’infanzia. Grazie all’assistenza sociale di cui ha goduto ha preso coscienza che aiutare le persone fa bene anche a chi aiuta. Nell’ambito famigliare la dinamica è simile: se i genitori testimoniano di volersi bene e di saper vivere con passione il proprio tempo libero, anche i figli impareranno a farlo”.