Cosa significa prendersi cura per Loreta e Simona

Da venerdì 26 a domenica 28 gennaio 2024 hanno avuto luogo le Giornate di studio per Professioniste della cura, dal titolo “Custodire la gente, avendo cura di ogni persona” promosse e organizzate dalla Fondazione OIKIA. In questo articolo Loreta e Simona condividono la loro esperienza di queste giornate.

Prendersi cura significa non avere paura di toccare la sofferenza e il dolore altrui - spiega Simona, che lavora a Roma nel Centro Cure Palliative del Campus Biomedico di Roma, "Insieme nella cura" -. Significa riuscire a perseverare, anche nei momenti di maggiore difficoltà dei bisognosi, avendo sempre sincerità nel cuore”.

Le giornate di studio “Custodire la gente, avendo cura di ogni persona”, promosse e organizzate dalla Fondazione OIKIA, hanno proposto alle partecipanti momenti di approfondimento, condivisione e riflessione sulle potenzialità e il valore del loro lavoro e sulla necessità di mantenere viva la passione per la cura, con lo stile che è proprio di ogni professione svolta con spirito di servizio. A questo link è possibile leggere il programma dettagliato e altre informazioni sull’evento.

Loreta e Simona hanno partecipato alle giornate di studio perché invitate da un’amica. “Ho partecipato per curiosità - racconta Loreta, che lavora a Verona nei servizi di base di una residenza universitaria -. Mi sono resa conto che era una bella opportunità che avevo per confrontarmi con persone di un ambiente lavorativo diverso dal mio ma che hanno a cuore la cura della persona”.

Persone, non patologie

Loreta, 55 anni, ha studiato a Milano in una scuola alberghiera ed è una cuoca professionista. Simona ha 47 anni ed è infermiera nel Centro Cure Palliative del Campus Biomedico di Roma, "Insieme nella cura". In passato ha lavorato come infermiera in altri ospedali. “Vedo intorno a me tanti colleghi che fanno davvero attenzione ai pazienti in quanto persone - racconta Simona -. Nelle professioni sanitarie è molto sfidante non identificare le persone con le loro patologie. Anche come misura difensiva, a volte regna la freddezza”.

Simona è infermiera, ma è anche mamma di tre figli: la più grande, ormai adolescente, ha avuto alcuni problemi di salute durante la sua infanzia, mentre il secondo figlio è autistico. Per questo Simona sa bene cosa significa avere bisogno di qualcuno che si prenda cura degli altri.

Rendere personale un servizio

Nelle giornate lavorative di Loreta e Simona, come in tutti i lavori, ci sono momenti più difficili di altri. Loreta, ad esempio, ritiene che conoscere chi sta servendo sia ciò che fa la differenza: “Quando al mattino ricevo le indicazioni sul lavoro da svolgere e mi viene detto che avremo dei generici ospiti, ci rimango male, perché non ho gli elementi per rendere personale il servizio”. D'altra parte c'è grande soddisfazione quando “nel team di colleghe c’è sintonia: anche se non la pensiamo sempre tutte allo stesso modo, è bello quando proponiamo idee su cui lavorare e cerchiamo di fare in modo che tutte siano soddisfatte del progetto finale”.

Comunicare che “non c’è più nulla da fare”

Di tutt’altro ambito è la difficoltà che rileva Simona nel suo lavoro: affrontare i colloqui con le famiglie e i pazienti, dover comunicare loro che non c’è più nulla da fare per migliorare la condizione di un familiare ricoverato. Ma, nonostante siano situazioni molto dure, è proprio in queste che si può fare la differenza, prendendosi cura delle persone: “Dover andare dal paziente per comunicargli che gli mancano pochi giorni di vita - spiega Simona -, se fatto con amore e affetto, può trasformarsi in un’esperienza bella. Spesso accade, infatti, che i pazienti, consapevoli dell'attenzione e dell’amore che i medici e gli infermieri provano per loro, vivano tale momento con gioia e serenità”.

“Sono tornata a casa rincuorata - testimonia Loreta - consapevole che nel mondo c’è gente veramente in gamba. Concretamente, dopo questa formazione mi sto impegnando a guardare in faccia le persone che incontro. Abbiamo perso le buone abitudini: non ci accorgiamo di quante persone hanno bisogno di aiuto. Io vivo in una città abbastanza piccola, abitata da molti anziani soli, e anche solo guardarli negli occhi è un gesto che può fare la differenza. Si tratta - conclude Loreta - di stare attenti a non vivere nell'anonimato. Siamo chiamati ad aggiungere un qualcosa in più alle nostre relazioni”.