Migliorare il tempo restituendolo a Dio

“Una pastasciutta, consumata in compagnia di chi non la può avere, è più ricca di un menù raffinato”. Pubblichiamo la testimonianza di un fedele dell’Opus Dei che si sta impegnando, insieme ad altri volontari, nel prendersi cura di un gruppo di detenuti.

È stato così per caso: avevo ricevuto diversi stimoli a impegnarmi direttamente in una attività di servizio ad altri. Quando ero scout il metodo di autoeducazione utilizzato per i ragazzi dopo i 16 anni era strada-comunità-servizio. Anche allora feci qualche esperienza: con i ragazzi di un gruppo parecchio travagliato andavamo a imboccare chi non era in grado di mangiare da solo, in una casa di riposo che ospitava persone povere. Di quell'esperienza ricordo ancora le pastasciutte scotte con cui cercavo di imboccare un signore, solo, incapace di esprimersi e molto povero: nessuno andava mai a trovarlo, nemmeno la domenica mattina.

Dove più ferve l’opera dell’uomo

“Lascia lente le briglie del tuo ippogrifo, Astolfo, e sfrena il tuo volo ove più ferve l’opera dell’uomo”. Questa canzone del Banco del Mutuo Soccorso mi è rimasta nel cuore: in una prospettiva molto umana mi sono sempre reso conto che poter esprimere le proprie capacità fa sentire utili e servire fa stare senz’altro meglio.

ho cominciato a cercare in tutti i modi di tornare a essere della partita

A un certo punto della mia vita ho cominciato a essere meno utile o, forse, addirittura di troppo e allora ho cominciato a cercare in tutti i modi di tornare a essere della partita: ho accettato ruoli operativi secondari, disposto a guadagnare poco. Per qualche lavoro forse ci ho anche rimesso. Pensavo che non ci fosse tempo per fare altro: così ho buttato via un sacco di tempo, aspettando, chiedendo, offrendo inutilmente disponibilità.

È andata avanti così, senza gloria, per tanti anni, anche se in fondo sapevo che la mia vocazione di cristiano comune e di fedele dell’Opus Dei mi chiedeva proprio di santificare la vita ordinaria, comprese le difficoltà oggettive e soggettive. Ma occorreva una spinta per riattualizzare questa convinzione. Poi, uno dei miei migliori amici mi ha detto che aveva deciso di dedicare i suoi sabati a una persona anziana: sembrava che gli avesse cambiato la vita, e questo fu il primo stimolo.

Un altro stimolo venne da un amico, che in invitò me e altri a impegnarci nel sociale durante una call nel periodo della pandemia, proprio prima di quel venerdì santo nel quale il Santo Padre fece una Via Crucis affidata a detenuti nelle carceri, e questo fu lo stimolo decisivo.

Servire, anche senza le idee molto chiare

Ho pensato che avrei potuto fare qualcosa anch’io e poi ho conosciuto un’associazione collegata alla Caritas, che si occupa di carcerati in tanti modi: c’è gente che in carcere fa formazione religiosa, colloqui, collegamento alle famiglie, approvvigionamento di indumenti e generi di prima necessità, servizi di sartoria e riparazione di indumenti. Inoltre l’associazione gestisce appartamenti esterni, di proprietà Caritas o Aler, dove detenuti a fine pena possono essere ricevuti in affidamento per attività lavorativa, per arresti domiciliari o per permessi e licenze brevi.

Nel primo periodo ho avuto l’opportunità di avere una formazione minima su vari temi. Ciononostante, sulla configurazione dei possibili regimi di detenzione e di applicazione di pene alternative, non avendo competenze giuridiche, ad oggi non ho ancora idee molto chiare.

A un certo punto, poi mi è stata richiesta la disponibilità a seguire quattro appartamenti, in cui possono risiedere fino a otto detenuti e lì ho cominciato ad avere contatti con le persone che li utilizzano.

Ci vado un paio di volte a settimana, mi occupo di offrire compagnia, assistenza per pratiche lavorative o rapporti con gli avvocati, gestione delle necessità di residenza (riparazioni, approvvigionamenti, commissioni per acquisto di medicinali, vestiti, arredi, vaccinazioni, un po’ di tutto): comunque quanto basta per sentirmi spesso incompetente e per capire quanto bisogno ci sia di competenza donata gratuitamente per quelle persone.

I problemi degli ultimi

Quello che ho capito è che in carcere ci finiscono soprattutto poveri, spesso migranti regolari e irregolari che non hanno niente e nessuno a cui appoggiarsi: ne ho incontrato uno che non sapeva né leggere, né scrivere, e un altro che pur essendo italiano aveva grandi difficoltà a farsi capire (tra l’altro aveva pochi denti anche se gli piaceva da morire la pizza).

Le situazioni che ho incontrato sono state spesso disarmanti, persone con figli lontani, in più paesi diversi, con più famiglie e con pochi contatti.

È gente difficile da aiutare, bisognerebbe insegnargli di tutto, dal fare le pulizie al come e a cosa prepararsi da mangiare. Tra l’altro, quando sono di religioni diverse, è anche difficile fargli la spesa tenendo conto dei precetti legati all’alimentazione, soprattutto in una città cara come la mia. Anche definire una dieta adeguata a persone di una certa età che possono uscire di casa solo due ore al giorno, con il poco che si ha, è veramente un’impresa.

Le storie delle persone che ho incontrato sono spesso angoscianti: persone che evadono perché legate a relazioni fuori dal carcere che si trovano in difficoltà più grandi delle loro; altre che non sanno gestire i piccoli guadagni che si procurano con i lavori faticosi e sottopagati; altre ancora che si ritrovano più in difficoltà dopo che prima della scarcerazione.

Aggiungere significato al proprio tempo, che è di Dio

In questa attività sono stato affiancato da altri volontari, sicuramente più capaci di me, con i quali siamo riusciti a procurare agli ospiti tessere prepagate con un budget settimanale di venti euro disponibile, tutto compreso, oltre ai miseri compensi del loro lavoro, laddove presente. Abbiamo trovato un commerciante egiziano di verdura che ci permette l’acquisto a prezzi scontati di frutta e verdura, consentendoci un miglioramento significativo alla loro dieta; abbiamo trovato un amico, ex imprenditore edile, che ci dà una grande mano per le riparazioni domestiche; siamo riusciti a far leggere qualche libro a un ospite italiano con qualche competenza culturale.

è in questi casi che si capisce che il tempo è di Dio

Alle attività di servizio all’accoglienza residenziale, si sono aggiunti nel tempo altri servizi di accompagnamento in licenza o in trasferimento a comunità educative di carcerati: ne ho fatti a cavallo di Natale o di Ferragosto o, altre volte, durante giornate lavorative: è in questi casi che si riceve in cambio la chiara comprensione che donare un po’ del proprio tempo agli altri sacrificando tempo di lavoro o tempi di riposo aggiunge grande significato al proprio tempo, si capisce che il tempo è di Dio, e che ridarglielo può alla fine renderlo migliore.

Ho constatato che gli sforzi che si fanno sono spesso vanificati da altre situazioni, che, prescindendo dalla buona volontà, sono frutto del modo di vivere attuale nella nostra civiltà: è difficile trovare lavoro per carcerati, ma è ancor più difficile trovare lavoro da scarcerati. Poi, senza lavoro non si trova un alloggio e senza un alloggio o un recapito non si trova un lavoro. Così capita di farsi una cultura sulle modalità di accesso ai dormitori pubblici, sui limiti di permanenza in tali strutture, sulle code di attesa per poterci dormire. Con il loro tempo e la loro competenza i carcerati di solito sono molto generosi: aspettano, chiedono, e offrono inutilmente disponibilità.

Tuta, canotta e amicizia

Sul piano personale l’esperienza è estremamente arricchente: si imparano veramente molte cose, che ci portano all’essenziale. Si capisce che è meglio passare la pausa pranzo con dei detenuti che da soli, dal momento che la loro compagnia è divertente e varia. Si impara che ci si può incontrare anche con persone che per standard indossano tuta e canotta e calzano rigorosamente solo ciabatte, ma che la cosa non limita in alcun modo il valore dell’incontro. Si capisce che una pastasciutta, consumata in compagnia di chi non la può avere, è più ricca di un menù raffinato, che il tempo e l’amicizia valgono in quanto tali e che si possono condividere con tutti, che coinvolgere tua moglie ne preparare una torta per festeggiare una scarcerazione può diventare un’esperienza unica, perché uno di quelli con cui la condividerai ti dirà “erano cinque anni che non mangiavo una torta fatta in casa”.

Sono passati due anni, e i successi finora sono stati davvero pochi considerando i reinserimenti in società o la crescita umana delle persone assistite: tra i risultati conseguiti ci sono l’avere coinvolto qualche collega o nell’aiuto o nella preghiera per i miei nuovi amici o perlomeno nella riflessione; qualche pomeriggio passato con ex detenuti a parlare di futuro, di esperienze positive; qualche Messa sentita insieme alla fine del pomeriggio. Ma non è poco sentirsi fratelli, compagni di strada di qualcuno che forse ci precederà in paradiso.